SALV. Quanto al moto in giù, già s'è concluso non esser altrimenti del globo terrestre, che mai di tal movimento non s'è mosso né già mai s'è per muovere; ma è (se pure è) delle parti, per riunirsi al suo tutto. Quanto poi al movimento annuo ed al diurno, questi, essendo fatti per il medesimo verso, sono benissimo compatibili, in quella maniera che se noi lasciassimo andare una palla giù per una superficie declive, ella, nello scendere per quella spontaneamente girerà in se stessa. Quanto poi al terzo moto attribuitole dai Copernico in se stessa in un anno, solamente per conservare il suo asse inclinato e diretto verso la medesima parte del firmamento, vi dirò cosa degna di grandissima considerazione; cioè, che tantum abest che (benché fatto al contrario dell'altro annuo) in esso sia repugnanza o difficultà alcuna che egli naturalissimamente e senza veruna causa motrice compete a qualsivoglia corpo sospeso e librato, il quale, se sarà portato in giro per la circonferenza di un cerchio, immediate per se stesso acquista una conversione circa 'l proprio centro, contraria a quella che lo porta intorno, e tale in velocità, che amendue finiscono una conversione nell'istesso tempo precisamente. Potrete veder questa mirabile ed accomodata al nostro proposito esperienza, mettendo in un catino d'acqua una palla che vi galleggi, e tenendo il vaso in mano: se vi andrete rivolgendo sopra le piante de' piedi, vedrete immediatamente cominciar la palla a rivolgersi in se stessa con moto contrario a quel del catino, e finir la sua revoluzione quando finirà quella del vaso. Ora, che altro è la Terra che un globo pensile e librato in aria tenue e cedente, il quale, portato in giro in un anno per la circonferenza di un gran cerchio, ben deve acquistar senz`altro motore una vertigine circa 'l proprio centro, annua e contraria all'altro movimento pur annuo? Voi vedrete quest'effetto ma se poi andrete più accuratamente considerando, vi accorgerete quest'esser non cosa reale, ma una semplice apparenza, e quello che vi assembra un rivolgersi in se stesso, essere un non si muovere ed un conservarsi del tutto immutabile rispetto a tutto quello che fuor di voi e del vaso resta immobile: perché, se in quella palla segnerete qualche nota, e considererete verso qual parte del muro della stanza dove sete, o della campagna o del cielo, ella riguarda, vedrete tal nota, nel rivolgimento del vaso e vostro, riguardar sempre verso quella medesima parte, ma paragonandola al vaso ed a voi stesso, che sete mobili, ben apparirà ella andar mutando direzione, e con movimento contrario al vostro e del vaso andar ricercando tutti i punti del giro di quello; talché con maggior verità si può dire che voi ed il vaso giriate intorno alla palla immobile, che ch'essa si volga drento al vaso. In tal guisa la Terra, sospesa e librata nella circonferenza dell'orbe magno, e situata in tal modo che una delle sue note, qual sarebbe per esempio il suo polo boreale, riguardi verso una tale stella o altra parte del firmamento, verso la medesima si mantien sempre diretta, benché portata co 'l moto annuo per la circonferenza di esso orbe magno. Questo solo è bastante a far cessare la maraviglia e rimuovere ogni difficultà: ma che dirà il signor Simplicio se a questa non indigenza di causa cooperante aggiugneremo una mirabile virtù intrinseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti verso determinate parti del firmamento? Parlo della virtù magnetica, participata costantissimamente da qualsivoglia pezzo di calamita. E se ogni minima particella di tal pietra ha in sé tal virtù, chi vorrà dubitare, la medesima più altamente risedere in tutto questo globo terreno, abbondante di tal materia, e che forse egli stesso, quanto alla sua interna e primaria sustanza, altro non è che un'immensa mole di calamita?
SIMP. Adunque voi sete di quelli che aderiscono alla magnetica filosofia di Guglielmo Gilberto?
SALV. Sono per certo, e credo d'aver per compagni tutti quelli che attentamente avranno letto il suo libro e riscontrate le sue esperienze; né sarei fuor di speranza che quello che è intervenuto a me in questo caso, potesse accadere a voi ancora, tuttavolta che una curiosità simile alla mia ed un conoscere che infinite cose restano in natura incognite a gl'intelletti umani, con liberarvi dalla schiavitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali, allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza del vostro senso, sì che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non più sentite. Ma (siami permesso d'usar questo termine) la pusillanimità de gl'ingegni comuni è giunta a segno, che non solamente alla cieca fanno dono, anzi tributo, del proprio assenso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che nella prima infanzia de' loro studii gli furono accreditati da i lor precettori, ma recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposizione o problema, benché non solamente non sia stato confutato, ma né pure esaminato né considerato, da i loro autori: de' quali uno è questo, di investigare qual sia la vera, propria, primaria, interna e general materia e sustanza di questo nostro globo terrestre; che, benché né ad Aristotile né ad altri, prima che al Gilberto, sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che né Aristotile né altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti che al primo motto di questo, quasi cavallo che adombri, si sono ritirati in dietro e sfuggito di trattarne, spacciando un tal concetto per una vana chimera, anzi per una solenne pazzia; e forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle mani, se un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua libreria dal contagio, non me n'avesse fatto dono.
SIMP. Io, che liberamente confesso essere stato uno de gl'ingegni comuni, e solamente da questi pochi giorni in qua, che mi è stato conceduto d'intervenire a i ragionamenti vostri, conosco di essermi alquanto sequestrato dalle strade trite e popolari, non però mi sento per ancora sollevato tanto, che le scabrosità di questa nuova fantastica opinione non mi sembrino molto ardue e difficili da superarsi.
SALV. Se quello che scrive il Gilberti è vero, non è opinione, ma suggetto di scienza; non è cosa nuova, ma antichissima quanto la Terra stessa; né potrà (essendo vera) esser aspra né difficile, ma piana ed agevolissima; ed io, quando vi piaccia, vi farò toccar con mano come voi da per voi stesso vi fate ombra, ed avete in orrore cosa che nulla tiene in sé di spaventoso, quasi piccolo fanciullo che ha paura della tregenda senza sapere di lei altro che il nome, come quella che oltre al nome non è nulla.
SIMP. Avrò piacere d'esser illuminato e tratto d'errore.
SALV. Rispondetemi dunque alle domande ch'io vi farò. E prima, ditemi se voi credete che questo nostro globo, che noi abitiamo e nominiamo Terra, consti di una sola e semplice materia, o pur sia un aggregato di materie diverse tra di loro.
SIMP. Io lo veggo composto di sustanze e corpi molto diversi; e prima, per le maggiori parti componenti, veggo l'acqua e la terra, sommamente tra di loro differenti.
SALV. Lasciamo da parte per ora i mari e l'altr'acque, e consideriamo le parti solide; e ditemi s'elle vi paiono tutte una cosa stessa, o pur cose diverse.
SIMP. Quanto all'apparenza, io le veggo diverse, trovandosi grandissime campagne di infeconda arena, ed altre di terreni fecondi e fruttiferi; veggonsi infinite montagne sterili ed alpestri, ripiene di duri sassi e pietre di diversissime sorte, come porfidi, alabastri, diaspri e mille e mill'altre sorte di marmi; ci sono le miniere vastissime de i metalli di tante spezie, ed in somma tante diversità di materie, che un giorno intero non basterebbe a numerarle solamente.
SALV. Ora, di tutte queste diverse materie, credete voi che nel compor questa gran massa concorrano porzioni eguali, o pur che tra tutte ce ne sia una parte che di gran lunga superi le altre e sia come materia e sustanza principale della vasta mole?
SIMP. Credo che le pietre, i marmi, i metalli, le gemme e l'altre tante materie diverse, sieno appunto come gioie ed ornamenti esteriori e superficiali del primario globo, che in mole penso che smisuratamente superi tutte quest'altre cose.
SALV. E questa principale e vasta mole, della quale le nominate cose son quasi escrescenze ed ornamenti, di che materia credete che sia composta?
SIMP. Penso che sia il semplice, o meno impuro, elemento della terra.
SALV. Ma per terra che cosa intendete voi? forse questa ch'è sparsa per le campagne, la quale si rompe con le vanghe e con gli aratri, dove si seminano i grani e si piantano i frutti, e dove spontaneamente nascono boscaglie grandissime, e che in somma è l'abitazione di tutti gli animali e la matrice di tutti i vegetabili?
SIMP. Cotesta direi io che fusse la primaria sustanza di questo nostro globo.
SALV. Oh questo non pare a me che sia ben detto perché questa terra, che si rompe, si semina, e che è fruttifera è una parte, e ben sottile, della superficie del globo, la quale non si profonda salvo che per breve spazio, in comparazione della distanza sino al centro: e l'esperienza ci mostra che non molto si cava al basso, che si trovano materie diverse assai da questa esterior corteccia, più sode e non buone alle produzioni de i vegetabili; oltre che le parti più interne, come premute da gravissimi pesi che a loro soprastanno, è credibile che siano costipate e dure quanto qualsivoglia durissimo scoglio. Aggiugnete a questo, che indarno sarebbe stata contribuita la fecondità a quelle materie che già mai non erano per produr frutto, ma per restare eternamente sepolte ne' profondi e tenebrosi abissi della Terra.
SIMP. E chi ci assicura che le parti più interne e vicine al centro siano infeconde? forse hanno esse ancora le lor produzioni di cose ignote a noi.
SALV. Voi, quanto qualsisia altri, potreste di ciò esser certo, come quello che ben potete comprendere, che se i corpi integranti dell'universo son prodotti solo per benefizio del genere umano, questo sopra tutti gli altri deve esser destinato a i soli comodi di noi abitatori suoi: ma qual benefizio potremo ritrarre da materie talmente a noi recondite e remote, che già mai non siamo per farcele trattabili? Non può dunque l'interna sustanza di questo nostro globo essere una materia frangibile dissipabile e nulla coerente, come questa superficiale che noi chiamiamo terra; ma convien che sia corpo densissimo e solidissimo, ed in somma una durissima pietra. E se ella pur debbe esser tale, qual ragione vi ha da far più renitente al creder che ella sia una calamita, che un porfido, un diaspro o altro marmo duro? Forse quando il Gilberto avesse scritto che questo globo è interiormente fatto di pietra serena o di calcidonio, il paradosso vi sarebbe parso meno esorbitante?
SIMP. Che le parti di questo globo più interne siano più compresse, e per ciò più costipate e solide, e più e più tali secondo che elle si profondan più, lo concedo, e lo concede anco Aristotile; ma che elle degenerino, e sieno altro che terra della medesima sorta che questa delle parti superficiali, non sento cosa che mi necessiti a concederlo.
SALV. Io non ho intrapreso questo ragionamento a fine di concludervi demostrativamente che la primaria e real sustanza di questo nostro globo sia calamita, ma solamente per mostrarvi, niuna ragione ritrovarsi per la quale altri deva esser più renitente a conceder che ei sia di calamita, che di qualche altra materia. E voi, se andrete ben considerando troverete, non esser improbabile che un solo puro ed arbitrario nome abbia mossi gli uomini a creder che ei sia di terra; e questo è l'essersi serviti comunemente da principio di questo nome terra per significar tanto quella materia che si ara e si semina, quanto per nominar questo nostro globo la denominazion del quale se si fusse presa dalla pietra, come non meno poteva prendersi da quella che dalla terra, il dir che la sustanza primaria di esso fusse pietra non arebbe sicuramente trovato renitenza o contradizione in alcuno: e questo ha tanto più del probabile, quanto io tengo per fermo, che quando si potesse scortecciar questo gran globo, levandone un suolo grosso mille o duamila braccia, e separar poi le pietre dalla terra, molto e molto maggior sarebbe il cumulo de i sassi, che quello del terreno fecondo. Delle ragioni poi che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, né questo è tempo di produrle, e massimo che con vostra comodità le potrete vedere nel Gilberto; solo, per inanimirvi a leggerlo, vi voglio esporre con certa mia similitudine il progresso che egli tiene nel suo filosofare. So che voi sapete benissimo quanto la cognizione de gli accidenti conferisca alla investigazione della sustanza ed essenza delle cose: però voglio che usiate diligenza di ben informarvi di molti accidenti e proprietà che singolarmente si trovano nella calamita, e non in altra pietra né in altro corpo, come sarebbe, per esempio, dell'attrarre il ferro, del conferirgli, solo con la sua presenza, la medesima virtù, di comunicargli parimente proprietà di riguardar verso i poli, sì come una tale ritiene ella in se medesima; ed oltre a questa, fate di veder per prova come in lei risiede virtù di conferire all'ago magnetico non solamente il drizzarsi sotto un meridiano verso i poli con moto orizontale (proprietà già più tempo fa conosciuta), ma un nuovamente osservato accidente di declinare (stando bilanciato sotto il meridiano già segnato sopra una sferetta di calamita), declinar dico, sino a' determinati segni più e meno, secondo che tal ago si terrà più o meno vicino al polo, sin che sopra l'istesso polo si pianta eretto a perpendicolo, dove che sopra le parti di mezo sta parallelo all'asse. Di più, proccurate di far prova, come risedendo la virtù di attrarre il ferro vigorosa assai più verso i poli che circa le parti di mezo, tal forza è notabilmente più gagliarda nell'uno che nell'altro polo, e questo in tutti i pezzi di calamita, il polo più gagliardo de' quali è quello che riguarda verso austro. Notate appresso, che in una piccola calamita questo polo australe, e più valoroso dell'altro, diventa più debile qualunque volta e' deva sostenere il ferro alla presenza del polo boreale di un'altra calamita assai maggiore. e per non far lungo discorso, assicuratevi con l'esperienza di queste ed altre molte proprietà descritte dal Gilberto, le quali tutte sono talmente proprie della calamita, che nessuna di loro compete a veruna altra materia. Ditemi ora, signor Simplicio: quando vi fussero proposti mille pezzi di diverse materie, ma ciascheduno coperto e rinvolto in un panno sotto il quale ei si occultasse, e vi fusse domandato che, senza scoprirgli, voi faceste opera d'indovinare da segni esteriori la materia di ciascheduno, e che, nel tentare, voi vi incontraste in uno il quale mostrasse apertamente di aver tutte le proprietà da voi già conosciute risedere nella sola calamita e non in veruna altra materia, che giudizio fareste voi dell'essenza di tal corpo? direste voi che potesse essere un pezo d'ebano o di alabastro o di stagno?
SIMP. Direi, senza punto dubitare, che fusse un pezzo di calamita.
SALV. Quando ciò sia, dite pur risolutamente che sotto questa coverta e scorza, di terra, di pietre, di metalli, di acqua etc., si nasconde una gran calamita, poiché intorno ad essa si riconoscono, da chi di osservargli si prende cura, tutti quei medesimi accidenti che ad un verace e scoperto globo di calamita competer si scorgono: ché quando altro non si vedesse che quello dell'ago declinatorio, che, portato intorno alla Terra, più e più s'inclina con l'avvicinarsi al polo boreale, e meno declina verso l'equinoziale, sotto il quale si riduce finalmente all'equilibrio, dovrebbe bastare a persuadere ogni più renitente giudizio. Taccio quell'altro mirabile effetto che sensatamente si vede in tutti i pezzi di calamita: de i quali a noi, abitatori dell'emisferio boreale, il polo meridionale di essa calamita è più gagliardo dell'altro, e la differenza si scorge maggiore quanto più altri si allontana dall'equinoziale; e sotto l'equinoziale amendue le parti sono di forze eguali, ma notabilmente più deboli; ma nelle regioni meridionali, lontano dall'equinoziale, si cangia natura, e quella parte che a noi era più debile, acquista vigore sopra l'altra: e tutto questo confronta con quello che veggiamo farsi da un piccol pezzetto di calamita alla presenza di un grande, la virtù del quale, prevalendo al minore, se lo rende obbediente, e secondo ch'e' si terrà di qua o di là dall'equinoziale della grande, fa le mutazioni medesime che ho detto farsi da ogni calamita portata di qua o di là dall'equinozial della Terra.
SAGR. Io rimasi persuaso alla prima lettura del libro del Gilberto; ed avendo incontrato un pezzo di calamita eccellentissima, feci per lungo tempo molte osservazioni, e tutte degne d'estrema meraviglia; ma sopra a tutte a me pare stupenda quella dell'accrescergli tanto la facultà del sostenere un ferro, con l'armarla nel modo che 'l medesimo autore insegna: ed io, con armare quel mio pezzo, gli multiplicai la forza in ottupla proporzione, e dove disarmata non sosteneva appena nove once di ferro, armata ne sosteneva più di sei libbre e forse voi arete veduto questo medesimo pezzo nella Galleria del Serenissimo Gran Duca vostro (al quale io la cedetti), sostenente due ancorette di ferro.
SALV. Io molte volte la veddi, e con gran meraviglia, sin che altro assai maggior stupore mi porse un piccolo pezzetto che si ritrova in mano del nostro Accademico; il quale, non essendo più che once sei di peso, né sostenendo disarmato altro che once dua appena, armato ne sostiene 160 sì che viene a regger 80 volte più armato che disarmato, ed a regger peso 26 volte maggiore del suo proprio: maraviglia assai maggiore di quello che aveva potuto incontrare il Gilberti, che scrive non aver potuto incontrar calamita che arrivi a sostenere il quadruplo del proprio peso.
SAGR. Gran campo di filosofare mi par che porga questa pietra a gl'intelletti umani: ed io l'ho ben mille volte meco medesimo specolato, come possa esser che ella porga a quel ferro, che l'arma, forza tanto superiore alla sua propria, e finalmente non trovo cosa che mi quieti; né molto costrutto cavo da quel che circa questo particolare scrive il Gilberto. Non so se l'istesso avvenga a voi.
SALV. Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti ingegni sublimi, né da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per non diminuire i lor libri: quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella geometria, la pratica della quale l'avrebbe reso men risoluto nell'accettare per concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch'ei produce per vere cause delle vere conclusioni da sé osservate; le quali ragioni (liberamente parlando) non annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne si possono addurre: e io non dubito che co 'l progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova scienza, con altre nuove osservazioni, e più con vere e necessarie dimostrazioni. Né per ciò deve diminuirsi la gloria del primo osservatore, né io stimo meno, anzi ammiro più assai, il primo inventor della lira (benché creder si debba che lo strumento fusse rozissimamente fabbricato, e più rozamente sonato), che cent'altri artisti che nei i conseguenti secoli tal professione ridussero a grand'esquisitezza: e parmi che molto ragionevolmente l'antichità annumerasse tra gli Dei i primi inventori dell'arti nobili, già che noi veggiamo il comune de gl'ingegni umani esser di tanta poca curiosità, e così poco curanti delle cose pellegrine e gentili, che nel vederle e sentirle esercitar da professori esquisitamente non per ciò si muovono a desiderar d'apprenderle; or pensate se cervelli di questa sorta si sariano giamai applicati a volere investigar la fabbrica della lira o all'invenzion della musica, allettati dal sibilo de i nervi secchi di una testuggine o dalle percosse di quattro martelli. L'applicarsi a grandi invenzioni, mosso da piccolissimi principii, e giudicar sotto una prima e puerile apparenza potersi contenere arti maravigliose, non è da ingegni dozinali, ma son concetti e pensieri, di spiriti sopraumani. Ora, rispondendo alla vostra domanda, dico che io ancora lungamente ho pensato per ritrovar qual possa essere la cagione di questa così tenace e potente congiunzione che noi veggiamo farsi tra l'un ferro, che arma la calamita, e l'altro che a quello si congiugne: e prima mi sono assicurato che la virtù e forza della pietra non si agumenta punto per essere armata, per ciò che né attrae da maggior distanza, né meno sostiene più validamente un ferro tra 'l quale e l'armadura s'interponga una sottilissima carta, sino a una foglia d'oro battuto; anzi con tale interposizione più ferro sostiene l'ignuda che l'armata: non ci è dunque mutazione nella virtù, e pure ci è innovazione nell'effetto: e perché è necessario che di nuovo effetto nuova sia la cagione, ricercando qual novità si introduca nell'atto del sostener con l'armadura, altra mutazione non si scorge che nel diverso toccamento, ché dove prima ferro toccava calamita, ora ferro tocca ferro; adunque bisogna necessariamente concludere, i diversi toccamenti esser causa della diversità de gli effetti. La diversità poi tra i contatti, non veggo che possa derivar da altro che dall'esser la sustanza del ferro di parti più sottili, più pure e più costipate, che quelle della calamita, che son più grosse, men pure e più rare; dal che ne segue, che le superficie de' due ferri che s'hanno da toccare, mentre sieno esquisitamente spianate forbite e lustrate, tanto esattamente si congiungono, che tutti gl'infiniti punti dell'una si incontrano con gl'infiniti dell'altra, sì che i filamenti (per così dire) che collegano i due ferri, sono molti più di quelli che collegano calamita con ferro, per esser la sustanza della calamita più porosa e men sincera, che fa che non tutti i punti e filamenti della superficie del ferro trovino nella superficie della calamita riscontri con chi unirsi. Che poi la sustanza del ferro (e massimo del ben purificato, qual è l'acciaio finissimo) sia di parti grandemente più dense sottili e pure che la materia della calamita, si vede dal potersi ridurre il suo taglio ad una sottigliezza estrema, qual è il taglio del rasoio, alla quale mai non si condurrebbe a gran segno quel d'un pezzo di calamita. L'impurità poi della calamita, e l'esser mescolata con altre qualità di pietre, prima sensatamente si scorge dal colore di alcune macchiette, per lo più biancheggianti, e poi dal presentargli un ago pendente da un filo, il quale sopra tali pietruzze non si può posare, ma, attratto dalle parti circonfuse, par che sfugga quelle e salti sopra la calamita contigua ad esse; e come alcune di tali parti eterogenee son per la grandezza loro molto visibili così possiamo credere altre in gran copia, per la lor piccolezza incospicue, esserne disseminate per tutta la massa. Confermasi quanto io dico (cioè che la moltitudine de' toccamenti che si fanno tra ferro e ferro è causa del tanto saldo congiugnimento) da una esperienza: la qual è, che se noi presenteremo l'aguzza punta d'un ago all'armatura della calamita, non più validamente se gli attaccherà che alla medesima ignuda; il che da altro non può derivare che dall'esser i due toccamenti eguali, cioè amendue di un sol punto. Ma che più? prendasi un ago e pongasi sopra la calamita sì che una delle sue estremità sporga al.quanto infuori, ed a quella si appresenti un chiodo, al quale subito l'ago si attaccherà, in maniera che ritirando in dietro il chiodo, l'ago si ridurrà sospeso, ed attaccato con le sua estremità alla calamita ed al ferro, e ritirando ancora più il chiodo, staccherà l'ago dalla calamita, se però la cruna dell'ago sarà unita al chiodo e la punta alla calamita, ma se la cruna sarà verso la calamita, nel rimuovere il chiodo l'ago resterà attaccato con la calamita, e questo (per mio giudizio) non per altro, se non che, per esser l'ago più grosso verso la cruna, tocca in molti più punti che non fa l'acutissima punta.
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