SIMP. Sino a questa parte mi par che assai manifestamente sia scoperta la poca efficacia delle dimostrazioni dell'autore; ma io veggo che tutto questo vien compreso in non molte carte del libro, e potrebb'esser che altre sue ragioni fusser più concludenti che non son queste prime.
SALV. Anzi non posson esser se non men valide, se vogliamo che le passate ci siano esempio per le rimanenti; attesoché (sì come è manifesto) l'incertezza e poca concludenza di quelle chiaramente si comprende derivar da gli errori commessi nelle osservazioni strumentali, dalle quali si è creduto le altezze polari e della stella essere state prese giustamente, essendo in effetto errate facilmente tutte; e pur per trovar l'altezze del polo hanno avuto gli astronomi secoli di tempo da impiegarvisi a lor agio, e le altezze meridiane della stella sono le più agevoli da osservarsi, come quelle che sono terminatissime e concedono qualche spazio all'osservatore di poterle continuare, come quelle che non si mutano sensibilmente in tempo brevissimo, come fanno le remote dal meridiano: e se questo è, sì come è, verissimo, qual fede vorrem noi prestare a calcoli fondati sopra osservazioni più in numero, più difficili a farsi, più momentanee nel variarsi, con la giunta appresso di strumenti più incomodi e più fallaci? Per una semplice occhiata che ho data alle dimostrazioni seguenti, i computi son fatti sopra altezze della stella prese in diversi cerchi verticali, che chiamano con voce arabica azimutti: nelle quali osservazioni si adoprano strumenti mobili non solo ne i cerchi verticali, ma nell'orizonte ancora nel medesimo tempo, in modo che convien, nell'istesso momento che si prende l'altezza, aver nell'orizonte osservata la distanza del verticale, nel qual è la stella, dal meridiano; in oltre dopo notabile intervallo di tempo convien reiterar l'operazione, e tener minuto conto del tempo decorso, fidandosi o d'oriuoli o d'altre osservazioni di stelle: una tal matassa di osservazioni va poi conferendo con un'altra simile, fatta da un altro osservatore, in un altro paese, con diverso strumento ed in diverso tempo; e da questa cerca l'autore di ritrar quali sarebbono state l'altezze della stella e le latitudini orizontali accadute nel tempo ed ora dell'altre prime osservazioni, e sopra un tale aggiustamento fabbrica in ultimo il suo calcolo. Lascio ora giudicar a voi quanto sia da prestar fede a ciò che da simili indagini si ritrae. Oltre che io non dubito punto che quando altri si volesse martirizare sopra tali lunghissimi computi, si troverebbe, sì come ne i passati, esser più quelli che favorissero la parte avversa, che l'autore: ma non mi par che metta conto prendersi una tal fatica per cosa che non è tra le primarie intese da noi.
SAGR. Io son dalla vostra in questa parte; ma sendo questo negozio circondato da tante confusioni incertezze ed errori, sopra qual confidenza hanno tanti astronomi asseverantemente pronunziato, la nuova stella essere stata altissima?
SALV. Sopra due sorte di osservazioni, semplicissime facilissime e verissime, una sola delle quali è più che a bastanza per assicurarne dell'essere stata locata nel firmamento, o almeno per lunghissimo tratto superiore alla Luna: una delle quali è presa dall'egualità o poco differente inegualità delle sue lontananze dal polo, tanto mentre ell'era nell'infima parte del meridiano, quanto nella suprema; l'altra è l'aver lei conservato perpetuamente le medesime distanze da alcune stelle fisse, sue circonvicine, ed in particolare dall'undecima di Cassiopea, non più da essa remota di gradi I e mezo: dalli quali due capi indubitabilmente si raccoglie o l'assoluta mancanza di parallasse, o una piccolezza tale, che ne assicura con calcoli speditissimi della sua gran lontananza dalla Terra.
SAGR. Ma queste cose non sono state comprese da questo autore? e se egli le ha vedute, in che modo se ne difende?
SALV. Noi sogliamo dire che quando altri, non trovando ripiego che vaglia contro a i suoi falli, produce frivolissime scuse, cerca di attaccarsi alle funi del cielo; ma quest'autore ricorre non alle corde, ma alle fila de' ragnateli del cielo, come apertamente vedrete nell'andare esaminando questi due punti pur ora accennativi. E prima, quello che ci mostrino le distanze polari ad uno ad uno de gli osservatori l'ho io notato in questi brevi calcoli; per piena intelligenza de quali devo primamente avvertirvi, come, tuttavolta che la stella nuova o altro fenomeno sia vicino a Terra, girando al moto diurno intorno al polo, più distante si mostrerà da esso mentre si trovi nella parte di sotto nel meridiano, che quando è nella superiore, come in questa figura si vede:
nella quale il punto T denota il centro della Terra, O il luogo dell'osservatore, il firmamento l'arco V P C, il polo P; il fenomeno, muovendosi per il cerchio F S, vedesi or sotto il polo, per il raggio OFC, ed or sopra, secondo il raggio O S D, sì che i luoghi veduti nel firmamento siano D, C ma i veri, rispetto al centro T, sono B, A, lontani egualmente dal polo: dove già è manifesto, il luogo apparente del fenomeno S, cioè il punto D, esser più vicino al polo che non è l'altro apparente luogo C, veduto per il raggio O F C; che è la prima cosa da notarsi. Conviene che nel secondo luogo voi notiate, come l'eccesso della apparente inferior distanza dal polo sopra l'apparente superiore distanza, pur dal polo, è maggiore che non è la parallasse inferiore del fenomeno; cioè dico che l'eccesso dell'arco C P (distanza inferiore apparente) sopra l'arco P D (distanza apparente superiore) è maggiore dell'arco C A (che è la parallasse inferiore). Il che si raccoglie facilmente: imperocché di più eccede l'arco C P il P D che il P B, essendo P B maggiore di P D; ma P B è eguale a P A, e l'eccesso di C P sopra P A è l'arco C A; adunque l'eccesso dell'arco C P sopra l'arco P D è maggiore dell'arco C A, che è la parallasse del fenomeno posto in F: che è quel che bisognava sapere. E per dar tutti i vantaggi all'autore, voglio che supponghiamo, la parallasse della stella in F esser tutto l'eccesso dell'arco C P (cioè della distanza inferiore dal polo) sopra l'arco P D (distanza superiore). Vengo adesso ad esaminare quel che ci danno le osservazioni di tutti gli astronomi prodotti dall'autore: tra le quali non ce n'è pur una che non gli sia in disfavore e contraria al suo intento. E facciamo principio da queste del Buschio, il quale trovò la distanza della stella dal polo, quando gli era superiore, esser gr. 28.10 m.p., e la inferiore esser gr. 28.30 m.p., sì che l'eccesso è gr. 0.20 m.p., il quale voglio che prendiamo (a favor dell'autore) come se tutto fusse parallasse della stella in F, cioè l'angolo T F O; la distanza poi dal vertice, cioè l'arco C V, è gr. 67.20 m.p. Trovate queste due cose, prolunghisi la linea C O, e sopra essa caschi la perpendicolare T I, e consideriamo il triangolo T O I, del quale l'angolo I è retto, e l'I O T noto, per esser alla cima dell'angolo V O C, distanza della stella dal vertice; inoltre nel triangolo T I F, pur rettangolo, è noto l'angolo F, preso per la parallasse: notinsi dunque da parte li due angoli I O T, I F T, e di essi si prendano i sini, che sono come si vede notato. E perché nel triangolo I O T di quali parti il sino tutto T O è 100.000, di tali il sino T I è 92.276, e di più nel triangolo I F T di quali il sino tutto TF è 100.000, di tali il sino T I è 582, per ritrovar quante parti sia T F di quelle che T O è 100.000, diremo per la regola aurea: Quando T I è 582, T F è 100.000; ma quando T I fusse 92.276, quanto sarebbe T F? Multiplichiamo 92.276 per 100.000; ne viene 9.227.600.000: e questo si deve partire per 582; ne viene, come si vede, 15854982: e tante parti saranno in T F di quelle che in T O sono 100.000. Onde per voler sapere quante linee T O sono in T F, divideremo 15.854.982 per 100.000; ne verrà 158 e mezo prossimamente: e tanti semidiametri sarà la distanza della stella F dal centro T. E per abbreviar l'operazione, vedendo noi come il prodotto del multiplicato di 92.276 per 100.000 si deve divider prima per 582 e poi il quoziente per 100.000, potremo, senza la multiplicazione di 92.276 per 100.000 e con una sola divisione del sino 92.276 per il sino 582, conseguir subito l'istesso, come si vede lì sotto; dove 92.276 diviso per 582 Ci dà l'istesso 158 e mezo in circa. Tenghiamo dunque memoria, come la sola divisione del sino T I come sino dell'angolo T O I, diviso per il sino T I, come sino dell'angolo I F T, ci dà la distanza cercata T F in tanti semidiametri T O.
Angolo IOT 67.20 m.p. sino 92276 15854982 Angolo IFT 0.20 m.p. sino 582 582 | 9227600000 | 3407002246 TI TF TI TF 49297867 582 100000 92276 0 325414 ____________________ 100000 | 158 | 54982 ____________________ | 158 582 | 92276 34070 492 3Vedete ora quel che ci danno le osservazioni del Peucero: del quale la distanza inferior dal polo è gr. 28.21 m.p., e la superiore gr. 28.2 m.p., la differenza gr. 0.19 m.p., e la distanza dal vertice gr. 66.27 m.p.; dalle quali cose si raccoglie la distanza della stella dal centro quasi 166 semidiametri.
Angolo IAC 66.27 m.p. sino 91672 165 427/553 Angolo IEC 0.19 m.p. sino 553 553 | 91672 | 36397 312 4Ecco quel che ci mostra l'osservazione di Ticone, presa la più favorevole per l'avversario: cioè, la distanza inferiore dal polo, gr. 28.13 m.p.; e la superiore, 28.2 m.p., lasciando la differenza, che è 0.11 m.p., come se tutta fusse parallasse, la distanza dal vertice, gr. 62.15 m.p. Ecco qui sotto l'operazione, e la lontananza della stella dal centro ritrovata semidiametri 276 9/16
Angolo IAC 62.15 m.p. sino 88500 276 9/16 Angolo IEC 0.11 m.p. sino 320 320 | 88500 | 2418 21L'osservazione del Reinoldo, ch'è la seguente, ci rende la distanza della stella dal centro semidiametri 793.
Angolo IAC 66.58 m.p. sino 92026 793 38/116 Angolo IEC 0. 4 m.p. sino 116 116 | 92026 | 10888 33Dalla seguente osservazion del Landgravio si ritrae la distanza della stella dal centro semidiametri 1057.
Angolo IAC 66.57 m.p. sino 92012 1057 53/87 Angolo IEC 0. 3 m.p. sino 87 87 | 92012 | 5663 5Prese dal Camerario due delle sue osservazioni più favorevoli per l'autore, si trova la lontananza della stella dal centro semidiametri 3143.
Angolo IAC 66.43 m.p. sino 91152 3143 Angolo IEC 0. 1 m.p. sino 29 29 | 91152 | 4295 1L'osservazione del Munosio non dà parallasse, e però rende la stella nuova tra le fisse altissime: quella dell'Ainzelio ce la dà remota per infinito spazio, ma con emendazion di un mezo minuto primo la ripon tra le fisse: e l'istesso si ritrae dall'Ursino con la correzione di 12 m.p. De gli altri astronomi non ci sono le distanze sopra e sotto il polo, onde non si può ritrar cosa veruna. Or vedete come tutte le osservazioni di tutti convengono, in disfavor dell'autore, in collocar la stella nelle regioni celesti e altissime.
SAGR. Ma che difesa trov'egli contro a sì patenti contrarietà?
SALV. Uno di quei debolissimi fili: dicendo che le parallassi vengono diminuite mercè delle refrazioni, le quali operando contrariamente, sublimano il fenomeno, dove le parallassi l'abbassano. Ora, quanto vaglia questo miserabil refugio, giudicatelo da questo, che quando quest'effetto delle refrazioni fusse di quella efficacia che da non molto tempo in qua alcuni astronomi hanno introdotto, al più che potesse operar circa l'elevar più del vero un fenomeno sopra l'orizonte, mentre egli sia di già alto 23 o 24 gradi, sarebbe il diminuirgli circa 3 minuti di parallasse, il qual temperamento è scarsissimo per ritrar la stella sotto la Luna ed in alcuni casi è minore che non è il vantaggio conceduto da noi nell'ammetter che l'eccesso della distanza inferior dal polo sopra la superiore sia tutto parallasse, il qual vantaggio è cosa assai più chiara e palpabile che l'effetto della refrazione, della grandezza del quale io dubito, e non senza ragione. Ma più, io domando quest'autore s'ei crede che quelli astronomi, delle osservazioni de i quali egli si serve, avessero cognizione di questi effetti delle refrazioni e vi facessero sopra considerazione, o no: se gli conobbero e considerarono, è ragionevol credere che di essi tenesser conto nell'assegnare le vere elevazioni della stella, facendo a quei gradi di altezze, che sopra gli strumenti si scorgevano, quelle tare che erano convenienti mercé dell'alterazioni delle refrazioni, immodo che le distanze pronunziate da loro fussero poi le corrette e giuste, e non le apparenti e false; ma s'ei crede che tali autori non facessero reflessione sopra le dette refrazioni, convien confessare che eglino abbiano parimente errato in determinar tutte quelle cose le quali non si possono perfettamente aggiustare senza la modificazione delle refrazioni: tra le quali cose una è l'investigazione precisa delle altezze polari, le quali comunemente si prendono dalle due altezze meridiane di alcuna delle stelle fisse sempre apparenti, le quali altezze verranno alterate dalla refrazione, nell'istesso modo appunto che quelle della stella nuova; talché l'altezza polare, che da esse si deduce, verrà difettosa, e partecipe dell'istesso mancamento che quest'autore ascrive alle altezze assegnate alla stella nuova, cioè e quella e queste poste, con pari errore, più sublimi del vero. Ma tale errore, per quanto appartiene al nostro presente negozio. non progiudica punto, perché non avendo noi bisogno di saper altro che la differenza tra le due distanze della stella nuova dal polo, mentre ella gli fu inferiore e poi superiore, chiara cosa è che tali distanze saran l'istesse posta l'alterazion della refrazione comunemente per la stella e per il polo, ch'è comunemente emendata per questo e per quella. Arebbe qualche momento, benché debolissimo, l'argomento dell'autore, se egli ci avesse assicurati che l'altezza del polo fusse stata assegnata precisa e emendata dall'error dependente dalla refrazione, dal quale non si fussero poi guardati i medesimi astronomi nell'assegnarci l'altezze della stella nuova; ma egli di ciò non ci ha fatti sicuri, né forse ce ne poteva fare, e forse (e questo è più credibile) tal cautela è stata tralasciata da gli osservatori.
SAGR. Parmi soprabbondantemente annullata questa instanza; però ditemi in qual maniera e' si libera poi da quell'aver mantenuta sempre la medesima distanza dalle stelle fisse sue circonvicine.
SALV. Apprendendosi similmente a due fili ancor più deboli dell'altro, l'uno de' quali è pur legato alla refrazione, ma tanto men saldamente, quanto e' dice che, pur la refrazione operando nella stella nuova e sublimandola sopra il vero sito rende incerte le distanze vedute dalle vere, comparate alle stelle fisse sue vicine; né posso a bastanza maravigliarmi come e' dissimuli d'accorgersi che la medesima refrazione lavorerà nell'istesso modo nella stella nuova che nell'antica, sua vicina, sublimando amendue egualmente, onde da tale accidente l'intervallo tra esse resti inalterato. L'altro refugio è ancora più infelice e tiene assai del ridicolo, fondandosi sopra l'errore che può nascere nell'operazione stessa strumentale, mentre che l'osservatore, non potendo costituire il centro della pupilla dell'occhio nel centro del sestante (strumento adoprato nell'osservare gl'intervalli tra due stelle), ma tenendolo elevato sopra detto centro quant'è la distanza di essa pupilla da non so che osso della gota, dove s'appoggia il capo dello strumento, si viene a formar nell'occhio un angolo più acuto di quello che si forma da i lati del sestante: il qual angolo de' raggi differisce anco da se stesso, mentre si riguardano stelle poco elevate sopra l'orizonte e le medesime poi poste in grande altura. Si fa, dice, tal angolo differente, mentre si vadia elevando lo strumento, tenendo ferma la testa: ma se nell'alzar il sestante si piegasse il collo indietro e si andasse elevando la testa insieme con lo strumento, l'angolo allora si conserverebbe l'istesso: suppone dunque la risposta dell'autore che gli osservatori, nell'uso dello strumento, non abbiano alzato la testa conforme al bisogno, cosa che non ha del verisimile. Ma posto anco che così fusse seguito, lascio giudicare a voi qual differenza può essere tra due angoli acuti di due triangoli equicruri, i lati dell'uno de i quali triangoli siano lunghi ciascuno quattro braccia, e quelli dell'altro quattro braccia meno quant'è il diametro d'una lente; ché assolutamente non maggiore può essere la differenza tra la lunghezza delli due raggi visivi mentre la linea vien tirata perpendicolarmente dal centro della pupilla sopra il piano dell'aste del sestante (la qual linea non è maggiore che la grossezza del pollice), e la lunghezza de i medesimi raggi mentre, elevandosi il sestante senza alzar insieme la testa, tal linea non cade più a perpendicolo sopra detto piano, ma inclina, facendo l'angolo verso la circonferenza alquanto acuto. Ma per liberare in tutto e per tutto questo autore da queste infelicissime mendicità, sappia (già che si vede che egli non ha molta pratica nell'uso de gli strumenti astronomici) che ne i lati del sestante o quadrante si accomodano due traguardi uno nel centro e l'altro nell'estremità opposta, i quali sono elevati un dito o più dal piano dell'aste e per le sommità di tali traguardi si fa passar il raggio dell'occhio, il quale occhio si tiene anco remoto dallo strumento un palmo o due o più ancora; talché né pupilla, né osso di gota, né di tutta la persona, tocca né si appoggia allo strumento; il quale strumento né meno si sostiene o si eleva a braccia, e massime se saranno di quei grandi, come si costuma, li quali, pesando le decine e le centinaia ed anco le migliaia delle libbre, si sostengono sopra basi saldissime: talché tutta l'instanza svanisce. Questi sono i sutterfugii di questo autore, i quali, quando ben fussero tutto acciaio, non lo potrebbero sollevare d'un centesimo di minuto: e con questi si persuade di darci a credere d'aver compensata quella differenza che importa più di cento minuti, dico del non si esser osservata notabil diversità nelle distanze tra una fissa e la nuova stella in tutta la lor circolazione, che, quando ella fusse stata prossima alla Luna, doveva farsi grandemente cospicua anco alla semplice vista, senza strumento veruno, e massime paragonandola con l'undecima di Cassiopea, sua vicina a gr. 1 e mezo; che di più di due diametri della Luna doveva variarsi, come ben avvertirono i più intelligenti astronomi di quei tempi.
SAGR. Mi par di vedere quell'infelice agricoltore, che dopo l'essergli state battute e destrutte dalla tempesta tutte le sue aspettate ricolte, va con faccia languida e china raggranellando reliquie così tenui, che non son per bastargli a nutrir né anco un pulcino per un sol giorno.
SALV. Veramente che con troppo scarsa provisione d'arme s'è levato quest'autore contro a gl'impugnatori della inalterabilità del cielo, e con troppo fragili catene ha tentato di ritirar dalle regioni altissime la stella nuova di Cassiopea in queste basse ed elementari. E perché mi pare che assai chiaramente si sia dimostrata la differenza grande che è tra i motivi di quelli astronomi e di questo loro oppugnatore, sarà bene che, lasciata questa parte, torniamo alla nostra principal materia; nella quale segue la considerazione del movimento annuo comunemente attribuito al Sole, ma poi, da Aristarco Samio in prima, e dopo dal Copernico, levato dal Sole e trasferito nella Terra; contro alla qual posizione sento venir gagliardamente provisto il signor Simplicio, ed in particolare con lo stocco e con lo scudo del libretto delle conclusioni o disquisizioni matematiche, l'oppugnazioni del quale sarà bene cominciare a proporre.
SIMP. Voglio, quando così vi piaccia, riserbarle in ultimo, come quelle che sono le ultime ritrovate.
SALV. Sarà dunque necessario che voi, conforme al modo tenuto sin qui, andiate ordinatamente proponendo le ragioni in contrario, sì d'Aristotile come di altri antichi, il che son per far io ancora, acciò non resti nulla indietro senza esser attentamente considerato ed esaminato; e parimente il signor Sagredo con la vivacità del suo ingegno, secondoché si sentirà svegliare, produrrà in mezo i suoi pensieri.
SAGR. Lo farò con la mia solita libertà; e perché voi così comandate, sarete anco in obbligo di scusarla.
SALV. Il favore obbligherà a ringraziarvi, e non a scusarvi. Ma cominci or mai il signor Simplicio a promuover quelle difficultà che lo respingono dal poter credere che la Terra, a guisa de gli altri pianeti, si possa muover in giro intorno ad un centro stabile.
SIMP. La prima e massima difficultà è la repugnanza ed incompatibilità che è tra l'esser nel centro e l'esserne lontano: perché, quando il globo terrestre si abbia a muover in un anno per la circonferenza di un cerchio, cioè sotto il zodiaco, è impossibile che nell'istesso tempo e' sia nel centro del zodiaco; ma che la Terra sia in tal centro, è in molti modi provato da Aristotile, da Tolomeo e da altri.
SALV. Molto bene discorrete; e non è dubbio alcuno che chi vorrà far muover la Terra per la circonferenza di un cerchio, bisogna prima che e' provi che ella non sia nel centro di quel tal cerchio. Séguita dunque ora che noi vegghiamo se la Terra sia o non sia in quel centro, intorno al quale io dico che ella si gira, e voi dite ch'ell'è collocata; e prima che questo, è necessario ancora che ci dichiariamo se di questo tal centro abbiamo voi ed io l'istesso concetto o no. Però dite quale e dove è questo vostro inteso centro.
SIMP. Intendo per centro quello dell'universo, quello del mondo, quello della sfera stellata, quel del cielo.
SALV. Ancorché molto ragionevolmente io potessi mettervi in controversia, se in natura sia un tal centro, essendo che né voi né altri ha mai provato se il mondo sia finito e figurato, o pure infinito e interminato; tuttavia, concedendovi per ora che ei sia finito e di figura sferica terminato, e che per ciò abbia il suo centro, converrà vedere quanto sia credibile che la Terra, e non più tosto altro corpo, si ritrovi in esso centro.
SIMP. Che il mondo sia finito e terminato e sferico, lo prova Aristotile con cento dimostrazioni.
SALV. Le quali si riducono poi tutte ad una sola, e quella sola al niente; perché se io gli negherò il suo assunto, cioè che l'universo sia mobile, tutte le sue dimostrazioni cascano, perché e' non prova esser finito e terminato se non quello dell'universo che è mobile. Ma per non multiplicar le dispute, concedasi per ora che il mondo sia finito, sferico, ed abbia il suo centro: e già che tal figura e centro si è argomentato dalla mobilità, non sarà se non molto ragionevole se da gl'istessi movimenti circolari de' corpi mondani noi andremo alla particolar investigazione del sito proprio di tal centro; anzi Aristotile medesimo ha egli pur nell'istessa maniera discorso e determinato, facendo centro dell'universo quell'istesso intorno al quale tutte le celesti sfere si girano e nel quale ha creduto venir collocato il globo terrestre. Ora ditemi, signor Simplicio: quando Aristotile si trovasse costretto da evidentissime esperienze a permutar in parte questa sua disposizione ed ordine dell'universo, ed a confessare d'essersi ingannato in una di queste due proposizioni, cioè o nel por la Terra nel centro, o nel dir che le sfere celesti si movessero intorno a cotal centro, qual delle due confessioni credete voi ch'egli eleggesse?
SIMP. Credo che quando il caso accadesse, i Peripatetici...
SALV. Non domando de i Peripatetici, domando d'Aristotile medesimo; ché quanto a quelli so benissimo ciò che risponderebbero. Essi, come reverentissimi ed umilissimi mancipii d'Aristotile, negherebbero tutte l'esperienze e tutte l'osservazioni del mondo, e recuserebbero anco di vederle, per non le avere a confessare, e direbbero che il mondo sta come scrisse Aristotile, e non come vuol la natura, perché, toltogli l'appoggio di quell'autorità, con che vorreste che comparissero in campo? E però ditemi pure quel che voi stimate che fusse per far Aristotile medesimo.
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