Giornata Seconda (segue dalla pagina precedente)

SALV. In quante quistioni bisognerebbe divertire, se noi volessimo decidere tutte le difficultà che si vengono attaccando l'una in conseguenza dell'altra! Voi chiamate principio esterno, ed anco lo chiamerete preternaturale e violento, quello che muove il proietto grave all'insù; ma forse non è egli meno interno e naturale che quello che lo muove in giù: può chiamarsi per avventura esterno e violento mentre il mobile è congiunto co 'l proiciente; ma separato, che cosa esterna rimane per motore della freccia o della palla? Bisogna pur necessariamente dire che quella virtù che la conduce in alto, sia non meno interna che quella che la muove in giù; ed io ho così per naturale il moto in su de i gravi per l'impeto concepito, come il moto in giù dependente dalla gravità.

SIMP. Questo non ammetterò io mai; perché questo ha il principio interno naturale e perpetuo, e quello, esterno violento e finito.

SALV. Se voi vi ritirate dal concedermi che i principii de i moti de i gravi in giù ed in su sieno egualmente interni e naturali, che fareste s'io vi dicessi che e' potessero anco essere il medesimo in numero?

SIMP. Lo lascio giudicare a voi.

SALV. Anzi voglio io voi stesso per giudice. Però ditemi: credete voi che nel medesimo corpo naturale possano riseder principii interni che siano tra di loro contrarii?

SIMP. Credo assolutamente di no.

SALV. Della terra, del piombo, dell'oro, ed in somma delle materie gravissime, quale stimate voi che sia la lor naturale intrinseca inclinazione, cioè a qual moto credete voi che 'l lor principio interno le tiri?

SIMP. Al moto verso il centro delle cose gravi, cioè al centro dell'universo e della Terra, dove, non impedite, si condurrebbero.

SALV. Talché, quando il globo terrestre fusse perforato da un pozzo che passasse per il centro di esso, una palla d'artiglieria lasciata cader per esso, mossa da principio naturale ed intrinseco, si condurrebbe al centro; e tutto questo moto farebbe ella spontaneamente e per principio intrinseco: non sta così?

SIMP. Così tengo io per fermo.

SALV. Ma giunta al centro, credete voi ch'ella passasse più oltre, o pur che quivi cesserebbe immediatamente dal moto?

SIMP. Credo che ella continuerebbe di muoversi per lunghissimo spazio.

SALV. Ma questo moto oltre al centro non sarebb'egli all'insù e, per vostro detto, preternaturale e violento? e da qual altro principio lo farete voi dependere, salvoché da quell'istesso che ha condotta la palla al centro, e che voi avete chiamato intrinseco e naturale? trovate voi un proiciente esterno, che gli sopraggiunga di nuovo per cacciarla in su. E questo che si dice del moto per il centro, si vede anco quassù da noi: imperocché l'impeto interno di un grave cadente per una superficie declive, se la medesima, piegandosi da basso, si refletterà in su, lo porterà, senza punto interrompere il moto, anco all'insù. Una palla di piombo pendente da uno spago, rimossa dal perpendicolo, descende spontaneamente, tirata dall'interna inclinazione, e senza interpor quiete trapassa il punto infimo, e senz'altro sopravvegnente motore si muove in su. Io so che voi non negherete che tanto è naturale ed interno de i gravi il principio che gli muove in giù, quanto de i leggieri quello che gli muove in su: onde io vi metto in considerazione una palla di legno, la quale scendendo per aria da grande altezza, e però movendosi da principio interno, giunta sopra una profondità d'acqua, continua la sua scesa, e senz'altro motore esterno per lungo tratto si sommerge; e pure il moto in giù per l'acqua gli è preternaturale, e con tutto ciò depende da principio che è interno, e non esterno della palla. Eccovi dunque dimostrato come un mobile può esser mosso, da uno stesso principio interno, di movimenti contrarii.

SIMP. Io credo che a tutte queste instanze ci sieno risposte, benché per ora non mi sovvengano. Ma comunque ciò sia, continua l'autor di domandar da qual principio dependa questo moto circolare de i gravi e de i leggieri, cioè se da principio interno o esterno, e seguendo dimostra che non può esser né l'uno né l'altro, dicendo: Si ab externo, Deusne illum excitat per continuum miraculum? an vero angelus? an aër? Et hunc quidem multi assignant. Sed contra...

SALV. Non vi affaticate in legger l'instanze, perch'io non son di quelli che attribuisca tal principio all'aria ambiente. Quanto poi al miracolo o all'angelo, più tosto inclinerei in quella parte; perché quello che comincia da divino miracolo o da operazione angelica, qual è la trasportazione d'una palla d'artiglieria nel concavo della Luna, non ha dell'improbabile che in virtù del medesimo principio faccia anco il resto. Ma quanto all'aria, a me basta che ella non impedisca il moto circolare de i mobili che per essa si dice che si muovono; e per ciò fare, basta (né più si ricerca) che essa si muova dell'istesso moto, e che con la medesima velocità finisca le sue circolazioni che il globo terrestre.

SIMP. Ed egli insurgerà parimente contro a questo, domandando chi conduce intorno l'aria, la natura o la violenza? e confuta la natura, con dire che ciò è contro alla verità, all'esperienza, all'istesso Copernico.

SALV. Contro al Copernico non è altrimenti, il quale non scrive tal cosa, e quest'autor glie l'attribuisce con troppo eccesso di cortesia: anzi egli dice, e per mio parer dice bene, che la parte dell'aria vicina alla Terra, essendo più presto evaporazion terrestre, può aver la medesima natura, e naturalmente seguire il suo moto, o vero, per essergli contigua, seguirla in quella maniera che i Peripatetici dicono che la parte superiore e l'elemento del fuoco seguono il moto del concavo della Luna; sì che a loro tocca a dichiarare se cotal moto sia naturale o violento.

SIMP. Replicherà l'autore, che se 'l Copernico fa muovere una parte dell'aria inferiore solamente, mancando di cotal moto la superiore, non potrà render ragione, come quell'aria quieta sia per poter condur seco i medesimi gravi e fargli secondare il moto della Terra.

SALV. Il Copernico dirà che questa propension naturale de i corpi elementari di seguire il moto terrestre ha una limitata sfera, fuor della quale cesserebbe tal naturale inclinazione; oltreché, come ho detto, non è l'aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguano il suo moto; sì che cascano tutte le instanze che questo autor produce per provar che l'aria può non cagionar cotali effetti.

SIMP. Come dunque ciò non sia, bisognerà dire che tali effetti dependano da principio interno; contro alla qual posizione oboriuntur dificillimæ, immo inextricabiles, quæstiones secundæ, che sono le seguenti: Principium illud interrum vel est accidens, vel substantia: si primum, quale nam illud? nam qualitas loco motiva circum hactenus nulla videtur esse agnita.

SALV. Come non si ha notizia di alcuna? non ci sono queste, che muovon intorno tutte queste elementari materie, insieme con la Terra? Vedete come quest'autore suppon per vero quello ch'è in quistione.

SIMP. Ei dice che ciò non si vede, e parmi che abbia ragione in questo.

SALV. Non si vede da noi, perché andiamo in volta insieme con loro.

SIMP. Sentite l'altra instanza: Quæ etiam si esset, quomodo tamen inveniretur in rebus tam contrariis? in igne ut in aqua? in aëre ut in terra? in viventibus ut in anima carentibus?

SALV. Posto per ora che l'acqua e il fuoco sien contrarii come anche l'aria e la terra (che pur ci sarebbe da dire assai), il più che da questo ne possa seguire, sarà che ad essi non possono esser comuni i moti che tra loro sien contrarii sì che, verbigrazia, il moto in su, che naturalmente compete al fuoco, non possa competere all'acqua, ma che, sì come essa è per natura contraria al fuoco, così a lei convenga quel moto che è contrario al moto del fuoco, che sarà il moto deorsum: ma il moto circolare, che non è contrario né al sursum né al deorsum, anzi che si può mescolare con amendue, come il medesimo Aristotile afferma, perché non potrà egualmente competere a i gravi ed a i leggieri? I moti poi che non posson esser comuni a i viventi ed a i non viventi son quelli che dependon dall'anima; ma quelli che son del corpo, in quanto egli è elementare, ed in conseguenza participante delle qualità degli elementi, perché non hanno ad esser comuni al cadavero ed al vivente? E però, quando il moto circolare sia proprio degli elementi, dovrà esser comune de i misti ancora.

SAGR. È forza che quest'autor creda, che cadendo una gatta morta da una finestra, non possa esser che anco viva ci potesse cadere, non essendo cosa conveniente che un cadavero partecipi delle qualità che convengono ad un vivente.

SALV. Non conclude, dunque, il discorso di quest'autore contro a chi dicesse, il principio del moto circolare de i gravi e de i leggieri esser un accidente interno. Non so quanto e' sia per dimostrare che non possa esser una sustanza.

SIMP. Insurge contro a questo con molte opposizioni, la prima delle quali è questa: Si secundum (nempe si dicas, tale principium esse substantiam), illud est aut materia, aut forma, aut compositum; sed repugnant iterum tot diversæ rerum naturæ, quales sunt aves, limaces, saxa, sagittæ, nives, fumi, grandines, pisces, etc., quæ tamen omnia, specie et genere differentia, moverentur a natura sua circulariter, ipsa naturis diversissima, etc.

SALV. Se queste cose nominate sono di nature diverse, e le cose di nature diverse non possono aver un moto comune, bisognerà, quando si debba sodisfare a tutte, pensar ad altro che a due moti solamente in su e in giù; e se se ne deve trovar uno per le freccie, uno per le lumache, un altro per i sassi, uno per i pesci, bisognerà pensare anco a i lombrichi e a i topazii e all'agarico, che non son men differenti di natura tra di loro che la gragnuola e la neve.

SIMP. Par che voi ve ne burliate di questi argomenti.

SALV. Anzi no, signor Simplicio; ma già si è risposto di sopra, cioè che se un moto in giù o vero in su può convenire alle cose nominate, potrà non meno convenir loro un circolare. E stando nella dottrina peripatetica, non porrete voi diversità maggiore tra una cometa elementare e una stella celeste, che tra un pesce e un uccello? e pur quelle si muovono amendue circolarmente. Or seguite il secondo argumento.

SIMP. Si Terra staret per voluntatem Dei, rotarentne cætera annon? si hoc, falsum est a natura gyrari; si illud, redeunt priores quæstiones; et sane mirum esset, quod gavia pisciculo, alauda nidulo suo et corvus limaci petræque, etiam volens, imminere non posset.

SALV. Io per me darei una risposta generale: che, dato per volontà di Dio che la Terra cessasse dalla vertigine diurna, quegli uccelli farebber tutto quello che alla medesima volontà di Dio piacesse. Ma se pur cotesto autore desiderasse una più particolar risposta, gli direi che e' farebber tutto l'opposito di quello che e' facessero quando, mentre eglino separati dalla Terra si trattenesser per aria, il globo terrestre per volontà divina si mettesse inaspettatamente in un moto precipitosissimo: tocca ora a quest'autore ad assicurarci di quello che in tal caso accaderebbe.

SAGR. Di grazia, signor Salviati, concedete a mia richiesta a quest'autore, che fermandosi la Terra per volontà di Dio, l'altre cose da quella separate continuasser d'andar in volta del natural movimento loro, e sentiamo quali impossibili o inconvenienti ne seguirebbero: perché io per me non so veder disordini maggiori di questi che produce l'autor medesimo, cioè che l'allodole, ancorché le volessero, non si potrebber trattener sopra i nidi loro, né i corbi sopra le lumache o sopra i sassi; dal che ne seguirebbe che a i corbi converrebbe patirsi la voglia delle lumache, e gli allodolini si morrebber di fame e di freddo, non potendo esser né imbeccati né covati dalle lor madri: questa è tutta la rovina ch'io so ritrar che seguirebbe, stante il detto dell'autore. Vedete voi, signor Simplicio, se maggiori inconvenienti seguir ne dovessero.

SIMP. Io non ne so scorger di maggiori, ma è ben credibile che l'autore ci scorga, oltre a questi, altri disordini in natura, che forse per suoi degni rispetti non ha volsuti produrre. Seguirò dunque la terza instanza: Insuper, quî fit ut istæ res tam variæ tantum moveantur ab occasu in ortum parallelæ ad æquatorem? ut semper moveantur, numquam quiescant?

SALV. Muovonsi da occidente in oriente, parallele all'equinoziale, senza fermarsi, in quella maniera appunto che voi credete che le stelle fisse si muovano da levante a ponente, parallele all'equinoziale, senza fermarsi.

SIMP. Quare quo sunt altiores celerius, quo humiliores tardius?

SALV. Perché in una sfera o in un cerchio che si volga intorno al suo centro, le parti più remote descrivono cerchi maggiori, e le più vicine gli descrivono nell'istesso tempo minori.

SIMP. Quare quæ æquinostiali propiores in maiori, quæ remotiores in minori, circulo feruntur?

SALV. Per immitar la sfera stellata, nella quale le più vicine all'equinoziale si muovon in cerchi maggiori che le più lontane.

SIMP. Quare pila eadem sub æquinostiali tota circa centrum Terræ ambitu maximo, celeritate incredibili, sub polo vero circa centrum proprium gyro nullo, tarditate suprema, volveretur?

SALV. Per immitar le stelle del firmamento, che farebbon l'istesso se 'l moto diurno fusse loro.

SIMP. Quare eadem res, pila verbi gratia plumbea, si semel Terram circuivit descripto circulo maximo, eamdem ubique non circummigret secundum circulum maximum, sed translata extra æquinostialem in circulis minoribus agetur?

SALV. Perché così farebbero, anzi pure hanno fatto in dottrina di Tolomeo, alcune stelle fisse, che già erano vicinissime all'equinoziale e descrivevan cerchi grandissimi, ed ora, che ne son lontane, gli descrivon minori.

SAGR. Oh s'io potessi tenere a mente tutte queste belle cose, mi parrebbe pur d'aver fatto il grand'acquisto! Bisogna, signor Simplicio, che voi me lo prestiate questo libretto, perché egli è forza che perentro vi sia un mare di cose peregrine ed esquisitissime.

SIMP. Io ve ne farò un presente.

SAGR. Oh questo no, io non ve ne priverei mai. Ma son finite ancora le interrogazioni?

SIMP. Signor no; sentite pure: Si latio circularis gravibus et levibus est naturalis, qualis est ea quæ fit secundum lineam rectam? nam si naturalis, quomodo et is motus quicircum est, naturalis est, cum specie differat a recto? si violentus, quî fit ut missile ignitum, sursum evolans, scintillosum caput sursum a Terra, non autem circum, volvatur? etc.

SALV. Già mille volte si è detto che il moto circolare è naturale del tutto e delle parti, mentre sono in ottima disposizione: il retto è per ridurr'all'ordine le parti disordinate; se ben meglio è dire che mai, né ordinate né disordinate, non si muovon di moto retto, ma di un moto misto che anco potrebb'esser circolare schietto; ma a noi resta visibile e osservabile una parte sola di questo moto misto cioè la parte del retto, restandoci l'altra parte del circolare impercettibile, perché noi ancora lo participiamo; e questo risponde a i razzi, li quali si muovono in su e in giro, ma noi non possiamo distinguer il circolare, perché di quello ci moviamo noi ancora. Ma quest'autore non credo che abbia mai capita questa mistione, poiché si vede come egli resolutamente dice che i razzi vanno in su a diritto e non vanno altrimenti in giro.

SIMP. Quare centrum spheræ delapsæ sub æquatore spiram describit in eius plano, sub aliis parallelis spiram describit in cono? sub polo descendit in axe, lineam gyralem decurrens in superficie cylindrica consignatam?

SALV. Perché delle linee tirate dal centro alla circonferenza della sfera, che son quelle per le quali i gravi descendono, quella che termina nell'equinoziale disegna un cerchio, e quelle che terminano in altri paralleli descrivon superficie coniche, e l'asse non descrive altro, ma si resta nell'esser suo. E se io vi debbo dire il mio parer liberamente, dirò che non so ritrarre da tutte queste interrogazioni costrutto nissuno che rilievi contro al moto della Terra; perché s'io domandassi a quest'autore (concedutogli che la Terra non si muova) quello che accaderebbe di tutti questi particolari, dato che ella si movesse come vuole il Copernico, son ben sicuro che e' direbbe che ne seguirebbon tutti questi effetti, che egli adesso oppone come inconvenienti per rimuover la mobilità; talché nella mente di quest'uomo le conseguenze necessarie vengon reputate assurdi. Ma, di grazia, se ci è altro, spediamoci da questo tedio.

SIMP. In questo che segue, ci è contro al Copernico e suoi seguaci, che voglion che il moto delle parti, separate dal suo tutto, sia solo per riunirsi al suo tutto, ma che naturale assolutamente sia il muoversi circolarmente alla vertigine diurna; contro a i quali instà dicendo che, conforme all'oppinion di costoro, si tota Terra, una cum aqua, in nihilum redigeretur, nulla grando aut pluvia e nube decideret, sed naturaliter tantum circumferretur; neque ignis ullus aut igneum ascenderet, cum, illorum non improbabili sententia, ignis nullus sit supra.

SALV. La providenza di questo filosofo è mirabile e degna di gran lode, attesoché e' non si contenta di pensare alle cose che potrebbon accadere stante il corso della natura, ma vuol trovarsi provvisto in occasione che seguissero di quelle cose che assolutamente si sa che non sono mai per seguire. Io voglio dunque, per sentir qualche bella sottigliezza, concedergli che quando la Terra e l'acqua andassero in niente, né le grandini né la pioggia cadessero più, né le materie ignee andasser più in alto, ma si trattenesser girando: che sarà poi? e che mi opporrà il filosofo?

SIMP. L'opposizione è nelle parole che seguono immediatamente; eccole qui: Quibus tamen experientia et ratio ad versatur.

SALV. Ora mi convien cedere, poiché egli ha sì gran vantaggio sopra di me, qual è l'esperienza, della quale io manco; perché sin ora non mi son mai incontrato in vedere che 'l globo terrestre, con l'elemento dell'acqua, sia andato in niente, sì ch'io abbia potuto osservare quel che in questo piccol finimondo faceva la gragnuola e l'acqua. Ma ci dic'egli almanco, per nostra scienza, quel che facevano?

SIMP. Non lo dice altrimenti.

SALV. Pagherei qualsivoglia cosa a potermi abboccar con questa persona, per domandargli, se quando questo globo sparì, e' portò via anco il centro comune della gravità, sì com'io credo; nel qual caso, penso che la grandine e l'acqua restassero come insensate e stolide tra le nugole, senza saper che farsi di loro. Potrebbe anco esser che, attratte da quel grande spazio vacuo, lasciato mediante la partita del globo terrestre, si rarefacesser tutti gli ambienti, ed in particolar l'aria, che è sommamente distraibile, e concorressero con somma velocità a riempierlo; e forse i corpi più solidi e materiali, come gli uccelli, che pur di ragione ne dovevano esser molti per aria, si ritirarono più verso il centro della grande sfera vacua (che par ben ragionevole che alle sustanze che sotto minor mole contengono assai materia, sieno assegnati i luoghi più angusti, lasciando alle più rare i più ampli), e quivi, mortisi finalmente di fame e risoluti in terra, formassero un nuovo globettino, con quella poca di acqua che si trovava allora tra nugoli. Potrebbe anco essere che le medesime materie, come quelle che non veggon lume, non s'accorgessero della partita della Terra, e che alla cieca scendessero al solito, pensando d'incontrarla, e a poco a poco si conducessero al centro, dove anco di presente andrebbero se l'istesso globo non l'impedisse. E finalmente, per dare a questo filosofo una meno irrisoluta risposta, gli dico che so tanto di quel che seguirebbe dopo l'annichilazione del globo terrestre, quanto egli avrebbe saputo che fusse per seguir di esso ed intorno ad esso avanti che fusse creato: e, perché io son sicuro che direbbe che non si sarebbe né anco potuto immaginare nissuna delle cose seguite, delle quali la sola esperienza l'ha fatto scienziato, dovrà non mi negar perdono e scusarmi s'io non so quel che egli sa delle cose che seguirebbero doppo l'annichilazione di esso globo, atteso che io manco di quest'esperienza che egli ha. Dite ora se ci è altra cosa.

SIMP. Ci è questa figura, che rappresenta il globo terrestre con una gran cavità intorno al suo centro, ripiena d'aria e per mostrare che i gravi non si muovono in giù per unirsi co 'l globo terrestre, come dice il Copernico, costituisce questa pietra nel centro, e domanda, posta in libertà quel che ella farebbe; ed un'altra ne pone nella concavità di questa gran caverna, e fa l'istessa interrogazione, dicendo quanto alla prima: Lapis in centro constitutus aut ascendet ad Terram in punctum aliquod, aut non: si secundum, falsum est partes ob solam seiunctionem a toto ad illud moveri, si primum, omnis ratio et experientia renititur, neque gravia in suæ gravitatis centro conquiescent. Item, si suspensus lapis liberatus decidat in centrum, separabit se a toto, contra Copernicum; si pendeat, refragatur omnis experientia, cum videamus integros fornices corruere.

SALV. Risponderò, benché con mio disavvantaggio grande, già che son alle mani con chi ha veduto per esperienza ciò che fanno questi sassi in questa gran caverna, cosa che non ho veduta io, e dirò che credo che prima siano le cose gravi che il centro comune della gravità, sì che non un centro, che altro non è che un punto indivisibile, e però di nessuna efficacia, sia quello che attragga a sé le materie gravi, ma che esse materie, cospirando naturalmente all'unione, si formino un comun centro, che è quello intorno al quale consistono parti di eguali momenti: onde stimo, che trasferendosi il grande aggregato de i gravi in qualsivoglia luogo, le particelle che dal tutto fusser separate lo seguirebbero, e non impedite lo penetrerebbero sin dove trovassero parti men gravi di loro, ma pervenute sin dove s'incontrassero in materie più gravi, non scenderebber più. E però stimo che nella caverna ripiena d'aria tutta la volta premerebbe, e solo violentemente si sostenterebbe sopra quell'aria, quando la durezza non potesse esser superata e rotta dalla gravità ma sassi staccati credo che scenderebbero al centro, e non soprannoterebbero all'aria: né per ciò si potrebbe dire che non si movessero al suo tutto, movendosi là dove tutte le parti del tutto si moverebbero, quando non fussero impedite.

SIMP. Quel che resta è certo errore ch'ei nota in un seguace del Copernico, il quale, facendo che la Terra si muova del moto annuo e del diurno in quella guisa che la ruota del carro si muove sopra il cerchio della Terra ed in se stessa, veniva a fare o il globo terrestre troppo grande o l'orbe magno troppo piccolo; attesoché 365 revoluzioni dell'equinoziale son meno assai che la circonferenza dell'orbe magno.

SALV. Avvertite che voi equivocate, e dite il contrario di quello che bisogna che sia scritto nel libretto: imperocché bisogna dire che quel tale autore veniva a fare il globo terrestre troppo piccolo o l'orbe magno troppo grande, e non il terrestre troppo grande e l'annuo troppo piccolo.

SIMP. L'equivoco non è altrimenti mio: ecco qui le parole del libretto: Non videt quod vel circulum annuum æquo minorem, vel orbem terreum iusto multo fabricet maiorem.

SALV. Se il primo autore abbia errato, io non lo posso sapere, poiché l'autor del libretto non lo nomina; ma ben è manifesto e inescusabile l'error del libretto, abbia o non abbia errato quel primo seguace del Copernico, poiché quel del libretto trapassa senza accorgersi un error sì materiale, e non lo nota e non lo emenda. Ma questo siagli perdonato, come errore più tosto d'inavertenza che d'altro. Oltre che, se non ch'io sono omai stracco e sazio di più lungamente occuparmi e consumare il tempo con assai poca utilità in queste molto leggieri altercazioni, potrei mostrare come non è impossibile che un cerchio, anco non maggior d'una ruota d'un carro, co 'l dar non pur 365, ma anco meno di 20 revoluzioni, può descrivere o misurare la circonferenza non pur dell'orbe magno, ma di uno mille volte maggiore: e questo dico per mostrare che non mancano sottigliezze assai maggiori di questa, con la quale quest'autore nota l'error del Copernico. Ma, di grazia, respiriamo un poco, per venir poi a quest'altro filosofo, oppositor del medesimo Copernico.

SAGR. Veramente ne ho bisogno io ancora, benché abbia solamente affaticato gli orecchi; e quando io pensassi di non aver a sentir cose più ingegnose in quest'altro autore, non so s'io mi risolvessi a andarmene a i freschi in gondola.

SIMP. Credo che sentirete cose di maggior polso, perché quest'è filosofo consumatissimo, e anco gran matematico, ed ha confutato Ticone in materia delle comete e delle stelle nuove.

SALV. È egli forse l'autor medesimo dell'Antiticone?

SIMP. È quello stesso: ma la confutazione contro alle stelle nuove non è nell'Antiticone, se non in quanto e di mostra che elle non erano progiudiziali all'inalterabilità ed ingenerabilità del cielo, sì come già vi dissi: ma doppo l'Antiticone, avendo trovato per via di parallasse modo di dimostrare che esse ancora son cose elementari e contenute dentro al concavo della Luna, ha scritto quest'altro libro: De tribus novis stellis etc., ed inseritovi anco gli argomenti contro al Copernico. Io l'altra volta vi produssi quello ch'egli aveva scritto circa queste stelle nuove nell'Antiticone, dove egli non negava che le fussero nel cielo, ma dimostrava che la lor produzione non alterava l'inalterabilità del cielo, e ciò facev'egli con discorso puro filosofico, nel modo ch'io vi dissi; e non mi sovvenne di dirvi come di poi aveva trovato modo di rimuoverle dal cielo, perché, procedendo egli in questa confutazione per via di computi e di parallassi, materie poco o niente comprese da me, non l'avevo lette, e solo avevo fatto studio sopra queste instanze contro al moto della Terra, che son pure naturali.


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