SALV. Eccomi per darvi quella sodisfazione che dalle mie forze mi sarà conceduta, e benché nel mio primo parlare vi sia per parer ch'io vadia ricercando cose aliene dal proposito nostro, tuttavia credo che nel progresso del ragionamento troverremo che pur non saranno tali. Però dicami il signor Sagredo in quali cose egli ha osservato consister la resistenza di alcun mobile all'esser mosso.
SAGR. Io per adesso non veggo esser nel mobile resistenza interna all'esser mosso se non la sua naturale inclinazione e propensione al moto contrario, come ne' corpi gravi, che hanno propensione al moto in giù, la resistenza è al moto in su: ed ho detto resistenza interna perché di questa credo che voi intendiate, e non dell'esterne, che sono accidentali e molte.
SALV. Così ho voluto dire, e la vostra perspicacità ha prevalso al mio avvedimento. Ma s'io sono stato scarso nell'interrogare, dubito che il signor Sagredo non abbia, con la risposta, adequata a pieno la domanda, e che nel mobile, oltre alla naturale inclinazione al termine contrario, sia un'altra pure intrinseca e naturale qualità che lo faccia renitente al moto. Però ditemi di nuovo: non credete voi che l'inclinazione, verbigrazia, de i gravi di muoversi in giù sia eguale alla resistenza de i medesimi all'essere spinti in su?
SAGR. Credo che ella sia tale per l'appunto; e per questo veggo nella bilancia due pesi eguali restar fermi nell'equilibrio, resistendo la gravità dell'uno all'esser alzato alla gravità con la quale l'altro, premendo in giù, alzar lo vorrebbe.
SALV. Benissimo; sì che a voler che l'uno alzasse l'altro bisognerebbe accrescer peso al premente, o scemarlo all'altro. Ma se nella sola gravità consiste la resistenza al moto in su, onde avviene che nella bilancia di braccia diseguali, cioè nella stadera, talvolta un peso di cento libbre, co 'l suo gravare in giù, non è bastante a alzarne uno di quattro libbre che gli contrasterà; e potrà questo di quattro abbassandosi alzare quello di cento? ché tale è l'effetto dei romano verso il grave peso che noi vogliam pesare. Se la resistenza all'esser mosso risiede nella sola gravità, come può il romano, co'l suo peso di quattro libbre sole, resistere al peso di una balla di lana o di seta, che sarà ottocento o mille, anzi pure potrà egli vincere co 'l suo momento la balla e sollevarla? Bisogna pur, signor Sagredo, dire che qui si lavori con altra resistenza e con altra forza, che con quella della semplice gravità.
SAGR. È necessario che sia così: però ditemi qual è questa seconda virtù.
SALV. È quello che non era nella bilancia di braccia eguali. Considerate qual novità è nella stadera, ed in questa di necessità consiste la causa del nuovo effetto.
SAGR. Credo che 'l vostro tentare mi abbia fatto sovvenir non so che. In amendue gli strumenti si lavora co 'l peso e co 'l moto: nella bilancia i movimenti sono eguali, e però l'un peso bisogna che superi l'altro in gravità per muoverlo; nella stadera il peso minore non moverà il maggiore se non quando questo si muova poco, essendo appeso nella minor distanza, e quello si muova molto, pendendo da distanza maggiore: bisogna dunque dire che 'l minor peso superi la resistenza del maggiore co 'l muoversi molto, mentre l'altro si muova poco.
SALV. Che tanto è quanto a dire che la velocità del mobile meno grave compensa la gravità del mobile più grave e meno veloce.
SAGR. Ma credete voi che la velocità ristori per l'appunto la gravità? cioè che tanto sia il momento e la forza di un mobile, verbigrazia, di quattro libbre di peso, quanto quella di un di cento, qualunque volta quello avesse cento gradi di velocità e questo quattro gradi solamente?
SALV. Certo sì, come io vi potrei con molte esperienze mostrare: ma per ora bastivi la confermazione di questa sola della stadera, nella quale voi vedrete il poco pesante romano allora poter sostenere ed equilibrare la gravissima balla, quando la sua lontananza dal centro, sopra il quale si sostiene e volgesi la stadera, sarà tanto maggiore dell'altra minor distanza dalla quale pende la balla, quanto il peso assoluto della balla è maggior di quel del romano. E di questo non poter la gran balla co 'l suo peso sollevare il romano, tanto men grave, altro non si vede poterne esser cagione che la disparità de i movimenti che e quella e questo far dovrebbero, mentre che la balla con l'abbassarsi un sol dito facesse alzare il romano cento dita (posto che la balla pesasse per cento romani, e la distanza del romano dal centro della stadera fusse cento volte più della distanza tra 'l medesimo centro e 'l punto della sospension della balla): il muoversi poi lo spazio di cento dita il romano, nel tempo che la balla si muove per un sol dito, è l'istesso che 'l dire, esser la velocità del moto del romano cento volte maggior della velocità del moto della balla. Ora fermatevi bene nella fantasia, come principio vero e notorio, che la resistenza che viene dalla velocità del moto compensa quello che depende dalla gravità d'un altro mobile: sì che, in conseguenza, tanto resiste al l'esser frenato un mobile d'una libbra, che si muova con cento gradi di velocità, quanto un altro mobile di cento libbre, la cui velocità sia d'un grado solo, ed all'esser mossi due mobili eguali resisteranno egualmente, se si avranno a far muovere con egual velocità; ma se uno doverà esser mosso più velocemente dell'altro, farà maggior resistenza, secondo la maggior velocità che se gli vorrà conferire. Dichiarate queste cose, venghiamo all'esplicazion del nostro problema; e per più facile intelligenza facciamone un poco di figura. E siano due ruote diseguali intorno a questo centro A, e della minore sia la circonferenza B G, e della maggiore C E H, ed il semidiametro A B C sia eretto all'orizonte, e per i punti B, C segniamo le rette linee tangenti B F, C D, e ne gli archi B G, C E sieno prese due parti eguali B G, C E; ed intendasi le due ruote esser girate sopra i lor centri con eguali velocità, sì che due mobili, li quali sariano, verbigrazia, due pietre, poste ne' punti B e C, vengano portate per le circonferenze B G, C E con eguali velocità, talché nell'istesso tempo che la pietra B scorrerebbe per l'arco B G, la pietra C passerebbe l'arco C E: dico adesso che la vertigine della minor ruota è molto più potente a far la proiezion della pietra B, che non è la vertigine della maggior ruota della pietra C. Imperocché dovendosi, come già si è dichiarato far la proiezione per la tangente, quando le pietre B, C dovessero separarsi dalle lor ruote e cominciare il moto della proiezione da i punti B, C, verrebbero dall'impeto concepito dalla vertigine scagliate per le tangenti B F, C D: per le tangenti dunque B F, C D hanno, le due pietre, eguali impeti di scorrere, e vi scorrerebbero se da qualche altra forza non ne fussero deviate. Non sta così, signor Sagredo?
SAGR. Così mi par che cammini il negozio.
SALV. Ma qual forza vi par che possa esser quella che devii le pietre dal muoversi per le tangenti, dove l'impeto della vertigine veramente le caccia?
SAGR. È o la propria gravità, o qualche colla che le ritien posate o attaccate sopra le ruote.
SALV. Ma a deviare un mobile dal moto dove egli ha impeto, non ci vuol egli maggior forza o minore, secondo che la deviazione ha da esser maggiore o minore? cioè, secondoché nella deviazione egli dovrà nell'istesso tempo passar maggiore o minore spazio?
SAGR. Sì, perché già di sopra fu concluso che a far muovere un mobile, con quanta maggior velocità si ha da far muovere, tanto bisogna che sia maggiore la virtù movente.
SALV. Ora considerate come per deviar la pietra della minor ruota dal moto della proiezione, che ella farebbe per la tangente B F, e ritenerla attaccata alla ruota, bisogna che la propria gravità la ritiri per quanto è lunga la segante F G, o vero la perpendicolare tirata dal punto G sopra la linea B F; dove che nella ruota maggiore il ritiramento non ha da esser più che si sia la segante D E, o vero la perpendicolare tirata dal punto E sopra la tangente D C, minor assai della F G, e sempre minore e minore secondo che la ruota si facesse maggiore: e perché questi ritiramenti si hanno a fare in tempi eguali, cioè mentre che si passano li due archi eguali B G, C E, quello della pietra B, cioè il ritiramento F G, doverà esser più veloce dell'altro D E, e però molto maggior forza si ricercherà per tener la pietra B congiunta alla sua piccola ruota, che la pietra C alla sua grande, ch'è il medesimo che dire, che tal poca cosa impedirà lo scagliamento nella ruota grande, che non lo proibirà nella piccola. È manifesto, dunque, che quanto più si cresce la ruota, tanto si scema la causa della proiezione.
SAGR. Da questo che ora intendo mercé del vostro lungo sminuzzamento, mi par di poter far restar pago il mio intelletto con assai breve discorso: perché, venendo dalla velocità eguale delle due ruote impresso impeto eguale in amendue le pietre per le tangenti, si vede la gran circonferenza co 'l poco separarsi dalla tangente, andar secondando in un certo modo e con dolce morso suavemente raffrenando nella pietra l'appetito, per così dire, di separarsi dalla circonferenza, sì che qualunque piccol ritegno, o della propria inclinazione o di qualche glutine, basta a mantenervela congiunta; il quale poi resta invalido a ciò poter fare nella piccola ruota, la quale, co 'l poco secondare la direzione della tangente, con troppa ingorda voglia cerca ritenere a sé la pietra, e non essendo il freno e 'l glutine più gagliardo di quello che manteneva l'altra pietra unita con la maggior ruota, si strappa la cavezza, e si corre per la tangente. Per tanto io non solamente resto capace dell'aver tutti quelli errato, che hanno creduto crescersi la cagione della proiezione secondo che si accresce la velocità della vertigine; ma di più vo considerando, che scemandosi la proiezione nell'accrescersi la ruota, tuttavoltaché si mantenga la medesima velocità in esse ruote, forse potrebbe esser vero che a voler che la gran ruota scagliasse come la piccola, bisognasse crescerle tanto di velocità, quanto se le cresce di diametro, che sarebbe quando le intere conversioni si finissero in tempi eguali e così si potrebbe stimare che la vertigine della Terra non più fusse bastante a scagliare le pietre, che qualsivoglia altra piccola ruota che tanto lentamente si girasse, che in ventiquattr'ore desse una sola rivolta.
SALV. Non voglio per ora che noi cerchiamo tant'oltre; basta che assai abbondantemente abbiamo (s'io non m'inganno) mostrato l'inefficacia dell'argumento, che nel primo aspetto pareva concludentissimo, e tale era stato stimato da grandissimi uomini: ed assai bene speso mi parrà il tempo e le parole, se anco nel concetto del signor Simplicio averò guadagnato qualche credenza, non dirò della mobilità della Terra, ma almanco del non esser l'opinion di coloro che la credono, tanto ridicola e stolta, quanto le squadre de' filosofi comuni la tengono.
SIMP. Le soluzioni addotte sin qui all'instanze fatte contro a questa diurna revoluzion della Terra, prese da i gravi cadenti dalla sommità d'una torre, e da i proietti a perpendicolo in su o secondo qualsivoglia inclinazione lateralmente, verso oriente, occidente, mezzogiorno o settentrione etc., mi hanno in qualche parte scemata l'antiquata incredulità concepita contro a tale opinione: ma altre maggiori difficultà mi si aggirano adesso per la fantasia, dalle quali io assolutamente non mi saprei mai sviluppare, né forse credo che voi medesimi ve ne potrete disciorre; e può anco essere che venute non vi sieno all'orecchie, perché sono assai moderne. E queste sono le opposizioni di due autori che ex professo scrivono contro al Copernico: le prime si leggono in un libretto di conclusioni naturali; le altre sono d'un gran filosofo e matematico insieme, inserte in un trattato che egli fa in grazia d'Aristotile e della sua opinione intorno all'inalterabilità del cielo, dove ei prova che non pur le comete, ma anco le stelle nuove, cioè quella del settantadua in Cassiopea e quella del seicentoquattro nel Sagittario, non erano altrimenti sopra le sfere de i pianeti, ma assolutamente sotto il concavo della Luna nella sfera elementare; e ciò dimostra egli contro a Ticone, Keplero e molti altri osservatori astronomi, e gli abbatte con le loro armi medesime, cioè per via delle parallassi. Io, se vi è in piacere, produrrò le ragioni dell'uno e dell'altro, perché le ho lette più d'una volta con attenzione; e voi potrete esaminar la lor forza e dirne il vostro parere.
SALV. Essendoché il nostro principal fine è di produrre e ponderar tutto quello che è stato addotto in pro e contro a i due sistemi Tolemaico e Copernicano, non è bene passar cosa alcuna delle scritte in cotal materia.
SIMP. Comincerò dunque dall'instanze contenute nel libretto delle conclusioni, e poi verrò all'altre. Primieramente, dunque, l'autore con grand'acutezza va calcolando quante miglia per ora fa un punto della superficie terrestre posto sotto l'equinoziale, e quante si fanno da altri punti posti in altri paralleli; e non contento di investigar tali movimenti in tempi orarii, gli trova anco in un minuto d'ora, né contento del minuto, lo ritrova sino a uno scrupolo secondo; ma più, e' va insino a mostrar apertissimamente quante miglia farebbe in tali tempi una palla d'artiglieria, posta nel concavo dell'orbe lunare, suppostolo anco tanto grande quanto l'istesso Copernico se lo figura, per levar tutti i sutterfugii all'avversario: e fatta quest'ingegnosissima ed esquisitissima supputazione, dimostra che un grave cadente di lassù consumerebbe assai più di sei giorni per arrivar sino al centro della Terra, dove naturalmente tendono tutte le cose gravi. Ora, quando dall'assoluta potenza divina o da qualche angelo fusse miracolosamente trasferita lassù una grossissima palla di artiglieria, e posta nel nostro punto verticale e di lì lasciata in sua libertà, è ben, per suo e mio parere, incredibilissima cosa che ella nel descendere a basso si andasse sempre mantenendo nella nostra linea verticale, continuando di girare con la Terra intorno al suo centro per tanti giorni, descrivendo sotto l'equinoziale una linea spirale nel piano di esso cerchio massimo, e sotto altri paralleli linee spirali intorno a coni, e sotto i poli cadendo per una semplice linea retta. Stabilisce poi e conferma questa grand'improbabilità co 'l promover, per modo di interrogazioni, molte difficultà impossibili a rimuoversi da i seguaci del Copernico; e sono, se ben mi ricorda...
SALV. Piano un poco: di grazia, signor Simplicio, non vogliate avvilupparmi con tante novità in un tratto; io ho poca memoria, e però mi bisogna andar di passo in passo. E perché mi sovviene aver già voluto calcolare in quanto tempo un simil grave, cadendo dal concavo della Luna arriverebbe nel centro della Terra, e mi par ricordare che il tempo non sarebbe sì lungo, sarà bene che voi ci dichiate con qual regola quest'autore abbia fatto il suo computo.
SIMP. Hallo fatto, per provare il suo intento a fortiori, vantaggioso assai per la parte avversa, supponendo che la velocità del cadente per la linea verticale verso il centro della Terra fusse eguale alla velocità del suo moto circolare fatto nel cerchio massimo del concavo dell'orbe lunare, al cui ragguaglio verrebbe a fare in un'ora dodicimila seicento miglia tedesche, cosa che veramente ha dell'impossibile; tuttavia, per abbondare in cautela e dar tutti i vantaggi alla parte, ei la suppone per vera, e conclude il tempo della caduta dovere ad ogni modo esser più di sei giorni.
SALV. E quest'è tutto il suo progresso? e con questa dimostrazione prova, il tempo di tal cascata dover esser più di sei giorni?
SAGR. Parmi che e' si sia portato troppo discretamente, poiché essendo in poter del suo arbitrio dar qual velocità gli piaceva a un tal cadente, ed in conseguenza farlo venire in Terra in sei mesi ed anco in sei anni, si è contentato di sei giorni. Ma di grazia, signor Salviati, racconciatemi un poco il gusto co 'l dirmi in qual maniera procedeva il vostro computo, già che voi dite averlo altra volta fatto; ché ben son sicuro che se 'l quesito non ricercava qualche operazione spiritosa, voi non vi areste applicata la mente.
SALV. Non basta, signor Sagredo, che la conclusione sia nobile e grande, ma il punto sta nel trattarla nobilmente. E chi non sa che nel resecar le membra di un animale si possono scoprir meraviglie infinite della provida e sapientissima natura? tuttavia, per uno che il notomista ne tagli, mille ne squarta il beccaio; ed io, nel cercar ora di sodisfare alla vostra domanda, non so con quale delli due abiti sia per comparire in scena: pur, preso animo dalla comparsa dell'autor del signor Simplicio, non resterò di recitarvi (se mi sovverrà) il modo che io tenevo. Ma prima ch'io metta mano ad altro, non posso lasciar di dire che dubito grandemente che il signor Simplicio non abbia fedelmente referito il modo co 'l quale questo suo autore trova che la palla d'artiglieria, nel venir dal concavo della Luna sino al centro della Terra, consumerebbe più di sei giorni; perché, s'egli avesse supposto che la sua velocità nello scendere fusse stata eguale a quella del concavo (come dice il signor Simplicio che e' suppone), si sarebbe dichiarato ignudissimo anco delle prime e più semplici cognizioni di geometria: anzi mi maraviglio che l'istesso signor Simplicio nell'ammetter la supposizione ch'egli dice, non vegga l'esorbitanza immensa che in quella si contiene.
SIMP. Ch'io abbia equivocato nel riferirla, potrebbe essere; ma che io vi scuopra dentro fallacia, non è sicuramente.
SALV. Forse non ho ben appreso quel che avete riferito. Non dite voi che quest'autore fa la velocità del moto della palla nello scendere eguale a quella ch'ell'aveva nello andare in volta, stando nel concavo lunare, e che calando con tal velocità si condurrebbe al centro in sei giorni?
SIMP. Così mi par ch'egli scriva.
SALV. E non vedete un'esorbitanza sì grande? Ma voi certo la dissimulate: ché non può esser che non sappiate che 'l semidiametro del cerchio è manco che la sesta parte della circonferenza; e che in conseguenza il tempo nel quale il mobile passerà il semidiametro, sarà manco della sesta parte del tempo nel quale, mosso con la medesima velocità, passerebbe la circonferenza; e che però la palla, scendendo con la velocità con la quale si muoveva nel concavo, arriverà in manco di quattr'ore al centro, posto che nel concavo compiesse una revoluzione in ore ventiquattro, come bisogna ch'ei supponga per mantenersi sempre nella medesima verticale.
SIMP. Intendo ora benissimo l'errore; ma non glie lo vorrei attribuire immeritamente, ed è forza ch'io abbia errato nel recitar il suo argomento: e per fuggir di non gli n'addossar de gli altri, vorrei avere il suo libro, e se ci fusse chi andasse a pigliarlo, l'averei molto caro.
SAGR. Non mancherà un lacchè, che anderà volando; ed appunto si farà senza perdimento di tempo, ché intanto il signor Salviati ci favorirà del suo computo.
SIMP. Potrà andare, che lo troverà aperto su 'l mio banco insieme con quello dell'altro che pur argomenta contro al Copernico.
SAGR. Faremo portar quello ancora, per più sicurezza; ed in tanto il signor Salviati farà il suo calculo. Ho spedito un servitore.
SALV. Avanti di ogni altra cosa, bisogna considerare come il movimento de i gravi descendenti non è uniforme, ma partendosi dalla quiete vanno continuamente accelerandosi; effetto conosciuto ed osservato da tutti, fuor che dal prefato autore moderno, il quale, non parlando di accelerazione, lo fa equabile. Ma questa general cognizione è di niun profitto, quando non si sappia secondo qual proporzione sia fatto questo accrescimento di velocità, conclusione stata sino a i tempi nostri ignota a tutti i filosofi, e primieramente ritrovata e dimostrata dall'Accademico, nostro comun amico: il quale, in alcuni suoi scritti non ancor pubblicati, ma in confidenza mostrati a me e ad alcuni altri amici suoi, dimostra come l'accelerazione del moto retto de i gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cioè che segnati quali e quanti si voglino tempi eguali, se nel primo tempo, partendosi il mobile dalla quiete, averà passato un tale spazio, come, per esempio, una canna, nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette, e così conseguentemente secondo i succedenti numeri caffi, che in somma è l'istesso che il dire che gli spazii passati dal mobile, partendosi dalla quiete, hanno tra di loro proporzione duplicata di quella che hanno i tempi ne' quali tali spazii son misurati, o vogliam dire che gli spazii passati son tra di loro come i quadrati de' tempi.
SAGR. Mirabil cosa sento dire. E di questo dite esserne dimostrazion matematica?
SALV. Matematica purissima, e non solamente di questa, ma di molte altre bellissime passioni attenenti a i moti naturali e a i proietti ancora, tutte ritrovate e dimostrate dall'amico nostro: ed io le ho vedute e studiate tutte con mio grandissimo gusto e meraviglia, vedendo suscitata una nuova cognizione intera, intorno ad un suggetto del quale si sono scritti centinaia di volumi; e né pur una sola dell'infinite conclusioni ammirabili che vi son dentro, è stata osservata e intesa da alcuno prima che dal nostro amico
SAGR. Voi mi fate fuggir la voglia d'intender più oltre de i nostri cominciati discorsi, e solo sentire alcuna delle dimostrazioni che mi accennate; però, o ditemele al presente, o almeno datemi ferma parola di farne meco una particolare sessione, ed anco presente il signor Simplicio se avrà gusto di sentire le passioni ed accidenti del primario effetto della natura.
SIMP. Averollo indubitatamente, ancorché, per quanto appartiene al filosofo naturale, io non credo che il descendere a certe minute particolarità sia necessario, bastando una general cognizione della definizion del moto e della distinzione di naturale e violento, equabile e accelerato, e simili; ché quando questo non fusse bastato, io non credo che Aristotile avesse pretermesso di insegnarci tutto quello che fusse mancato.
SALV. Può essere. Ma non perdiamo più tempo in questo, ch'io prometto spenderci una meza giornata appartatamente per vostra sodisfazione, anzi pur ora mi sovviene avervi un'altra volta promesso di darvi questa medesima sodisfazione. E tornando al nostro cominciato calcolo del tempo nel quale il grave cadente verrebbe dal concavo della Luna sino al centro della Terra, per proceder non arbitrariamente e a caso, ma con metodo concludentissimo, cercheremo prima di assicurarci, con l'esperienza più volte replicata, in quanto tempo una palla, verbigrazia, di ferro venga in Terra dall'altezza di cento braccia.
SAGR. Pigliando però una palla di un tal determinato peso, e quella stessa sopra la quale noi vogliamo far il computo del tempo della scesa dalla Luna.
SALV. Questo non importa niente, perché palle di una, di dieci, di cento, di mille libbre, tutte misureranno le medesime cento braccia nell'istesso tempo.
SIMP. Oh questo non cred'io, né meno lo crede Aristotile, che scrive che le velocità de i gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proporzione delle loro gravità.
SALV. Come voi, signor Simplicio, volete ammetter cotesto per vero, bisogna che voi crediate ancora, che lasciate nell'istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libbre e l'altra d'una, dall'altezza di cento braccia, la grande arrivi in Terra prima che la minore sia scesa un sol braccio: ora accomodate, se voi potete, il vostro cervello a imaginarsi di veder la gran palla giunta in Terra quando la piccola sia ancora a men d'un braccio vicina alla sommità della torre.
SAGR. Che questa proposizione sia falsissima, io non ne ho un dubbio al mondo; ma che anco la vostra sia totalmente vera, non ne son ben capace: tuttavia la credo, poiché voi risolutamente l'affermate; il che son sicuro che non fareste quando non ne aveste certa esperienza o ferma dimostrazione.
SALV. Honne l'una e l'altra, e quando tratteremo la materia de i moti separatamente, ve la comunicherò: intanto, per non avere occasione di più interrompere il filo, ponghiamo di voler fare il computo sopra una palla di ferro di cento libbre, la quale per replicate esperienze scende dall'altezza di cento braccia in cinque minuti secondi d'ora. E perché, come vi ho detto, gli spazii che si misurano dal cadente, crescono in duplicata proporzione, cioè secondo i quadrati de' tempi, essendoché il tempo di un minuto primo è duodecuplo del tempo di cinque secondi, se noi multiplicheremo le cento braccia per il quadrato di 12, cioè per 144, averemo 14400, che sarà il numero delle braccia che il mobile medesimo passerà in un minuto primo d'ora; e seguitando la medesima regola, perché un'ora è 60 minuti, multiplicando 14400, numero delle braccia passate in un minuto, per il quadrato di 60, cioè per 3600, ne verrà 51840000, numero delle braccia da passarsi in un'ora, che sono miglia 17280. E volendo sapere lo spazio che si passerebbe in 4 ore, multiplicheremo 17280 per 16 (che è il quadrato di 4), e ce ne verranno miglia 276480: il qual numero è assai maggiore della distanza dal concavo lunare al centro della Terra, che è miglia 196000, facendo la distanza del concavo 56 semidiametri terrestri, come fa l'autor moderno, ed il semidia metro della Terra 3500 miglia di braccia 3000 l'uno, quali sono le nostre miglia italiane. Adunque, signor Simplicio quello spazio dal concavo della Luna al centro della Terra che il vostro computista diceva non potersi passare se non in assai più di sei giorni, vedete come, facendo il computo sopra l'esperienza e non su per le dita, si passerebbe in assai meno di 4 ore; e facendo il computo esatto, si passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.
Pagine della Giornata Seconda: | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 | 16 |
---|