SAGR. Di grazia, caro Signor, non mi defraudate di questo calculo esatto, perché bisogna che sia cosa bellissima.
SALV. Tale è veramente. Però avendo (come ho detto) con diligente esperienza osservato come un tal mobile passa, cadendo, l'altezza di 100 braccia in 5 secondi d'ora, diremo: Se 100 braccia si passano in 5 secondi, braccia 588000000 (che tante sono 56 semidiametri della Terra) in quanti secondi si passeranno? La regola per quest'operazione è che si multiplichi il terzo numero per il quadrato del secondo; ne viene 14700000000, il quale si deve dividere per il primo, cioè per 100, e la radice quadrata del quoziente, che è 12 124 minuti secondi d'ora, che sono ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.
100 5 588000000 A B C 25 _____________________ 1 14700000000 35956 22 10 241 ___________ 60 12124 2422 202 24240 3
SAGR. Ho veduta l'operazione, ma non intendo niente della ragione del così operare, né mi par tempo adesso di domandarla.
SALV. Anzi ve la voglio dire, ancorché non la ricerchiate, perché è assai facile. Segniamo questi tre numeri con le lettere A primo, B secondo, C terzo; A, C sono i numeri de gli spazii, B è 'l numero del tempo: si cerca il quarto numero, pur del tempo. E perché noi sappiamo, che qual proporzione ha lo spazio A allo spazio C, tale deve avere il quadrato del tempo B al quadrato del tempo che si cerca però, per la regola aurea, si multiplicherà il numero C per il quadrato del numero B, ed il prodotto si dividerà per il numero A, ed il quoziente sarà il quadrato del numero, che si cerca, e la sua radice quadrata sarà l'istesso numero cercato. Or vedete come è facile da intendersi.
SAGR. Tali sono tutte le cose vere, doppo che son trovate; ma il punto sta nel saperle trovare. Io resto capacissimo, e vi ringrazio, e se altra curiosità vi resta in questa materia, vi prego a dirla, perché, s'io debbo parlar liberamente, dirò, con licenzia del signor Simplicio, che da i vostri discorsi imparo sempre qualche bella novità, ma da quelli de' suoi filosofi non so d'aver sin ora imparato cose di gran rilievo.
SALV. Pur troppo ci resterebbe da dire in questi movimenti locali; ma conforme al convenuto ci riserberemo ad una sessione appartata, e per ora dirò qualche cosa attenente all'autor proposto dal signor Simplicio: al quale par d'aver dato un gran vantaggio alla parte nel concederle che quella palla d'artiglieria, nel cader dal concavo della Luna, possa venir con velocità eguale alla velocità con la quale si sarebbe mossa in giro restando lassù e movendosi alla conversion diurna. Ora io gli dico che quella palla, cadendo dal concavo sino al centro, acquisterà grado di velocità assai più che doppio della velocità del moto diurno del concavo lunare; e questo mostrerò io con supposti verissimi, e non arbitrarii. Dovete dunque sapere, come il grave cadendo, ed acquistando sempre velocità nuova secondo la proporzione già detta, in qualunque luogo egli si trovi della linea del suo moto, ha in sé tal grado di velocità, che se ei continuasse di muoversi con quella uniformemente, senza più crescerla, in altrettanto tempo quanto è stato quello della sua scesa passerebbe spazio doppio del passato nella linea del precedente moto in giù: e così, per esempio, se quella palla nel venir dal concavo della Luna al suo centro ha consumato ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, dico che giunta al centro si trova costituita in tal grado di velocità, che se con quella, senza più crescerla, continuasse di muoversi uniformemente, passerebbe in altre ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi il doppio di spazio, cioè quant'è tutto 'l diametro intero dell'orbe lunare. E perché dal concavo della Luna al centro so no miglia 196000, le quali la palla passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, adunque (stante quello ch'è detto) continuando la palla di muoversi con la velocità che si trova avere nell'arrivare al centro, passerebbe, in altre ore 3 minuti primi 22 e 4 secondi, spazio doppio del detto, cioè miglia 392000: ma la medesima, stando nel concavo della Luna, che ha di circuito miglia 1232000, e movendosi con quello al moto diurno, farebbe nel medesimo tempo, cioè in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, miglia 172880, che sono assai manco che la metà delle miglia 392000. Ecco dunque come il moto nel concavo non è qual dice l'autor moderno, cioè di velocità impossibile a participarsi dalla palla cadente, etc.
SAGR. Il discorso camminerebbe benissimo e mi quieterebbe, quando mi fusse saldata quella partita del muoversi il mobile per doppio spazio del passato cadendo, in altro tempo eguale a quel della scesa, quando e' continuasse di muoversi uniformemente co 'l massimo grado della velocità acquistata nel descendere: proposizione anco un'altra volta da voi supposta per vera, ma non dimostrata.
SALV. Quest'è una delle dimostrate dal nostro amico, e la vedrete a suo tempo; ma in tanto voglio con alcune conietture, non insegnarvi cosa nuova, ma rimuovervi da una certa opinione contraria, mostrandovi che forse così possa essere. Sospendendosi con un filo lungo e sottile, legato al palco, una palla di piombo, se noi la allontaneremo dal perpendicolo, lasciandola poi in libertà, non avete voi osservato che ella declinando passerà spontaneamente di là dal perpendicolo poco meno che altrettanto?
SAGR. L'ho osservato benissimo, e veduto (massime se la palla sarà grave assai) che ella sormonta tanto poco meno della scesa, che ho talvolta creduto che l'arco ascendente sia eguale al descendente, e però dubitato che le sue vibrazioni potessero perpetuarsi; e crederò che lo farebbero se si potesse levar l'impedimento dell'aria, la quale, resistendo all'esser aperta, ritarda qualche poco ed impedisce il moto del pendolo: ma l'impedimento è ben poco; di che è argomento il numero grande delle vibrazioni che si fanno avanti che il mobile si fermi del tutto.
SALV. Non si perpetuerebbe il moto, signor Sagredo, quando ben si levasse totalmente l'impedimento dell'aria, perché ve n'è un altro più recondito assai.
SAGR. E qual è? ché altro non me ne sovviene.
SALV. Vi gusterà il sentirlo, ma ve lo dirò poi; intanto seguitiamo. Io vi ho proposta l'osservazione di questo pendolo, acciò che voi intendiate che l'impeto acquistato nell'arco descendente, dove il moto è naturale, è per se stesso potente a sospignere di moto violento la medesima palla per altrettanto spazio nell'arco simile ascendente; è tale, dico, per se stesso, rimossi tutti gl'impedimenti esterni. Credo anco che senza dubitarne s'intenda, che sì come nell'arco descendente si va crescendo la velocità sino al punto infimo del perpendicolo, così da questo per l'altro arco ascendente si vadia diminuendo sino all'estremo punto altissimo, e diminuendo con l'istesse proporzioni con le quali si venne prima agumentando, sì che i gradi delle velocità ne i punti egualmente distanti dal punto infimo sieno tra di loro eguali. Di qui parmi (discorrendo con una certa convenienza) di poter credere, che quando il globo terrestre fusse perforato per il centro, una palla d'artiglieria scendendo per tal pozzo acquisterebbe sino al centro tal impeto di velocità che trapassato il centro la spignerebbe in su per altrettanto spazio quanto fusse stato quello della caduta, diminuendo sempre la velocità oltre al centro con decrementi simili a gl'incrementi acquistati nello scendere; ed il tempo che si consumerebbe in questo secondo moto ascendente credo che sarebbe eguale al tempo della scesa. Ora, se il mobile co 'l diminuir successivamente, sino alla totale estinzione, il sommo grado della velocità che ebbe nel centro, conduce il mobile in tanto tempo per tanto spazio per quanto in altrettanto tempo era venuto con l'acquisto di velocità dalla total privazione di essa sino a quel sommo grado; par ben ragionevole che quando si movesse sempre co 'l sommo grado di velocità, trapassasse in altrettanto tempo amendue quelli spazii: perché se noi andremo con la mente dividendo quelle velocità in gradi crescenti e calanti, come, verbigrazia, questi numeri, sì che i primi sino al 10 sieno i crescenti, e gli altri sino all'1 i calanti, e quelli, del tempo della scesa, e gli altri, del tempo della salita, si vede che, congiunti tutti insieme, fanno tanto quanto se una delle due parti di loro fusse stata tutta di gradi massimi; e però tutto lo spazio passato con tutti i gradi delle velocità crescenti e calanti (che è tutto il diametro intero) dev'esser eguale allo spazio passato dalle velocità massime che in numero sono la metà dell'aggregato delle crescenti e delle calanti. Io mi conosco essermi assai duramente spiegato, e Dio voglia ch'io mi lasci intendere.
SAGR. Credo d'avere inteso benissimo, ed anco di poter in brevi parole mostrar ch'io ho inteso. Voi avete voluto dire, che cominciando il moto dalla quiete ed andando successivamente crescendo la velocità con agumenti eguali, quali sono quelli de' numeri conseguenti, cominciando dall'unità, anzi dal zero, che rappresenta lo stato di quiete, disponendogli così, e conseguentemente quanti ne piacesse, sì che il minimo grado sia il zero e 'l massimo, verbigrazia, 5, tutti questi gradi di velocità, con i quali il mobile si è mosso, fanno la somma di 15; ma quando il mobile si movesse con tanti gradi in numero quanti son questi, e che ciascheduno fusse eguale al massimo, che è 5, l'aggregato di tutte queste velocità sarebbe doppio dell'altre, cioè 30: e però movendosi il mobile per altrettanto tempo, ma con velocità equabile e qual è quella del sommo grado 5, doverà passare spazio doppio di quello che passò nel tempo accelerato, che cominciò dallo stato di quiete.
SALV. Voi, conforme alla vostra velocissima e sottilissima apprensiva, avete spiegato il tutto assai più lucidamente di me, e fattomi anco venire in mente di aggiugnere alcuna cosa di più. Imperocché, essendo nel moto accelerato l'agumento continuo, non si può compartire i gradi della velocità, la quale sempre cresce, in numero alcuno determinato, perché, mutandosi di momento in momento, son sempre infiniti: però meglio potremo esemplificare la nostra intenzione figurandoci un triangolo, qual sarebbe questo A B C, pigliando nel lato A C quante parti eguali ne piacerà, A D, D E, E F, F G, e tirando per i punti D, E, F, G linee rette parallele alla base B C; dove voglio che ci imaginiamo, le parti segnate nella linea A C esser tempi eguali, e le parallele tirate per i punti D, E, F, G rappresentarci i gradi delle velocità accelerate e crescenti egualmente in tempi eguali, ed il punto A esser lo stato di quiete, dal quale partendosi il mobile abbia, verbigrazia, nel tempo A D acquistato il grado di velocità D H, nel seguente tempo aver cresciuta la velocità sopra il grado D H sino al grado E I, e conseguentemente fattala maggiore ne i tempi succedenti, secondo i crescimenti delle linee F K, G L, etc.
Ma perché l'accelerazione si fa continuamente di momento in momento, e non intercisamente di parte quanta di tempo in parte quanta, essendo posto il termine A come momento minimo di velocità, cioè come stato di quiete e come primo instante del tempo susseguente A D, è manifesto che avanti l'acquisto del grado di velocità D H, fatto nel tempo A D, si è passato per altri infiniti gradi minori e minori, guadagnati ne gli infiniti instanti che sono nel tempo D A, corrispondenti a gli infiniti punti che sono nella linea D A: però per rappresentare la infinità de i gradi di velocità che precedono al grado D H, bisogna intendere infinite linee sempre minori e minori, che si intendano tirate da gl'infiniti punti della linea D A, parallele alla D H, la qual infinità di linee ci rappresenta in ultimo la superficie del triangolo A H D; e così intenderemo, qualsivoglia spazio passato dal mobile con moto che, cominciando dalla quiete, si vadia uniformemente accelerando, aver consumato ed essersi servito di infiniti gradi di velocità crescenti, conforme all'infinite linee, che, cominciando dal punto A, si intendono tirate parallele alla linea H D ed alle I E, K F, L G, B C, continuandosi il moto quanto ne piace.
Ora finiamo l'intero parallelogrammo A M B C, e prolunghiamo sino al suo lato B M non solo le parallele segnate nel triangolo, ma la infinità di quelle che si intendono prodotte da tutti i punti del lato A C. E sì come la B C era massima delle infinite del triangolo, rappresentanteci il massimo grado di velocità acquistato dal mobile nel moto accelerato, e tutta la superficie di esso triangolo era la massa e la somma di tutta la velocità con la quale nel tempo A C passò un tale spazio, così il parallelogrammo viene ad esser una massa ed aggregato di altrettanti gradi di velocità, ma ciascheduno eguale al massimo B C, la qual massa di velocità viene a esser doppia della massa delle velocità crescenti del triangolo, sì come esso parallelogrammo è doppio del triangolo; e però, se il mobile che cadendo si è servito de i gradi di velocità accelerata, conforme al triangolo A B C, ha passato in tanto tempo un tale spazio, è ben ragionevole e probabile che servendosi delle velocità uniformi, e rispondenti al parallelogrammo, passi con moto equabile nel medesimo tempo spazio doppio al passato dal moto accelerato.
SAGR. Resto interamente appagato. E se voi chiamate questo un discorso probabile, quali saranno le dimostrazioni necessarie? Volesse Dio che in tutta la comune filosofia se ne trovasse pur una delle sì concludenti!
SIMP. Non bisogna nella scienza naturale ricercar l'esquisita evidenza matematica.
SAGR. Ma questa del moto non è quistion naturale? e pur non trovo che di esso Aristotile mi dimostri pur un minimo accidente. Ma non divertiamo più il nostro ragionamento, e voi, signor Salviati, non mancate in grazia di dirmi quello che mi accennaste esser cagione del fermare il pendolo, oltre alla resistenza del mezo all'esser aperto.
SALV. Ditemi: di due pendenti da distanze diseguali, quello che è attaccato a più lunga corda non fa le sue vibrazioni più rare?
SAGR. Sì, quando si movessero per eguali distanze dal perpendicolo.
SALV. Cotesto allontanarsi più o meno non importa niente, perché il medesimo pendolo fa le sue reciprocazioni sempre sotto tempi eguali, sieno quelle lunghissime o brevissime; cioè rimuovasi il pendolo assaissimo o pochissimo dal perpendicolo; e se pur non sono del tutto eguali, son elleno insensibilmente differenti, come l'esperienza vi può mostrare; ma quando ben le fussero molto diseguali, non disfavorirebbe, ma favorirebbe la causa nostra.
Imperocché segniamo il perpendicolo A B, e penda dal punto A nella corda A C un peso C, ed un altro pur nella medesima più alto, che sia E; e discostata la corda A C dal perpendicolo, e lasciata poi in libertà, i pesi C, E si moveranno per gli archi C B D, E G F: ed il peso E, come pendente da minor distanza, ed anco come (per vostro detto) allontanato meno vuol ritornare indietro più presto e far le sue vibrazioni più frequenti che il peso C, e però gli impedirà il trascorrere tant'oltre verso il termine D quanto farebbe se fusse libero; e così, recandogli in ogni vibrazione continuo impedimento, finalmente lo ridurrà alla quiete. Ora, la corda medesima (levando i pesi di mezo) è un composto di molti pendoli gravi, cioè ciascheduna delle sue parti è un tal pendolo, attaccato più e più vicino al punto A e però disposto a far le sue vibrazioni sempre più e più frequenti; ed in conseguenza è abile ad arrecare un continuo impedimento al peso C. Segno di questo ne è, che se noi osserveremo la corda A C, la vedremo distesa non rettamente, ma in arco; e se noi in cambio di corda piglieremo una catena, vedremo tale effetto assai più manifesto, e massime con l'allontanar assai il grave C dal perpendicolo A B: imperocché, per esser la catena composta di molte particelle snodate, e ciascheduna assai grave, gli archi A E C, A F D si vedranno notabilmente incurvati. Per questo dunque, che le parti della catena, secondo che son più vicine al punto A, voglion far le lor vibrazioni più frequenti, non lasciano scorrer le più basse quanto naturalmente farebbero; e con il continuo detrar dalle vibrazioni del peso C, finalmente lo fermano, quando ben l'impedimento dell'aria si potesse tor via.
SAGR. Appunto sono arrivati i libri. Pigliate, signor Simplicio, e trovate il luogo del quale si dubita.
SIMP. Eccolo qui, dove egli incomincia ad argumentar contro al moto diurno della Terra, avendo egli prima confutato l'annuo: Motus Terræ annuus asserere Copernicanos cogit conversionem eiusdem quotidianam; alias idem Terræ hemispherium continenter ad Solem esset conversum, obumbrato semper averso; e così la metà della Terra non vedrebbe mai il Sole.
SALV. Parmi, per questo primo ingresso, che quest'uomo non si sia ben figurata la posizion del Copernico; perché s'egli avesse avvertito, come e' fa star l'asse del globo terrestre perpetuamente parallelo a se stesso, non arebbe detto che la metà della Terra non vedrebbe mai il Sole, ma che l'anno sarebbe stato un sol giorno naturale, cioè che per tutte le parti della Terra si sarebbe auto sei mesi di giorno e sei mesi di notte, come ora accade a gli abitatori sotto 'l polo. Ma questo siagli perdonato, e venghiamo al resto.
SIMP. Segue: Hanc autem gyrationem Terræ impossibilem esse, sic demonstramus. Questo appresso è la dichiarazione della seguente figura, dove si veggono dipinti molti gravi descendenti, e leggieri ascendenti, e uccelli che si trattengono per aria, etc.
SAGR. Mostrate, di grazia. Oh che belle figure, che uccelli, che palle, e che altre belle cose son queste?
SIMP. Queste son palle che vengono dal concavo della Luna.
SAGR. E questa che è?
SIMP. È una chiocciola, che qua a Venezia chiaman buovoli, che ancor essa vien dal concavo della Luna.
SAGR. Sì, sì: quest'è che la Luna ha così grand'efficacia sopra questi pesci ostreacei, che noi chiamiamo pesci armai.
SIMP. Quest'è poi quel calcolo ch'io dicevo, di questo viaggio in un giorno naturale, in un'ora, in un minuto primo ed in un secondo, che farebbe un punto della Terra posto sotto l'equinoziale, ed anco nel parallelo di 48 gradi. E poi segue questo, dov'io dubito non avere errato nel referirlo; però leggiamolo: His positis, necesse est, Terra circulariter mota, omnia ex aëre eidem etc. Quod si hasce pilas æquales ponemus pondere, magnitudine, gravitate, et in concavo spheræ lunaris positas libero descensui permittamus, si motum deorsum æquemus celeritate motui circum (quod tamen secus est, cum pila A etc.), elabentur minimum (ut multum cedamus adversariis) dies sex: quo tempore sexies circa Terram etc.
SALV. Voi purtroppo avevi fedelmente referita l'instanza di quest'uomo. Di qui potete comprender, signor Simplicio, con quanta cautela dovrebber andar quelli che vorrebber dar a credere altrui quelle cose che forse non credono essi medesimi: perché mi pare impossibil cosa che quest'autore non si avesse ad accorgere ch' e' si figurava un cerchio il cui diametro, che appresso i matematici è manco che la terza parte della circonferenza, fusse più di 12 volte maggiore della medesima; errore che pone esser assai più di 36 quello ch'è manco d'uno.
SAGR. Forse che queste proporzioni matematiche, che son vere in astratto, applicate poi in concreto a cerchi fisici ed elementari non rispondon così per appunto: se ben mi pare che i bottai, per trovare il semidiametro del fondo da farsi per la botte, si servono della regola in astratto de' matematici, ancorché tali fondi sien cose assai materiali e concrete. Però dica il signor Simplicio la scusa di quest'autore, e se gli pare che la fisica possa differir tanto dalla matematica.
SIMP. La ritirata non mi par suffiziente, perché lo svario è troppo grande: e in questo caso non saprei che dire altro, se non che quandoque bonus etc. Ma posto che il calcolo del signor Salviati sia più giusto, e che il tempo della scesa della palla non fusse più di tre ore, parmi ad ogni modo che venendo dal concavo della Luna, distante per sì grand'intervallo, mirabil cosa sarebbe che ella avesse instinto da natura di mantenersi sempre sopra 'l medesimo punto della Terra al quale nella sua partita ella soprastava, e non più tosto restar in dietro per lunghissimo intervallo.
SALV. L'effetto può esser mirabile, e non mirabile, ma naturale e ordinario, secondo che sono le cose precedenti. Imperocché, se la palla (conforme a' supposti che fa l'autore) mentre si tratteneva nel concavo della Luna aveva il moto circolare delle ventiquattr'ore insieme con la Terra e co 'l resto del contenuto dentro ad esso concavo, quella medesima virtù che la faceva andare in volta avanti lo scendere, continuerà di farla andar anco nello scendere; e tantum abest che ella non sia per secondare il moto della Terra, ma debba restare indietro, che più tosto dovrebbe prevenirlo, essendoché nell'avvicinarsi alla Terra il moto in giro ha da esser fatto continuamente per cerchi minori: talché, mantenendosi nella palla quella medesima velocità che ell'aveva nel concavo, dovrebbe anticipare, come ho detto, la vertigine della Terra. Ma se la palla nel concavo mancava della circolazione, non è in obbligo nello scendere di mantenersi perpendicolarmente sopra quel punto della Terra che gli era sottoposto quando la scesa cominciò; né il Copernico né alcuno de' suoi aderenti lo dirà.
SIMP. Ma l'autore farà instanza, come voi vedete, domandando da qual principio dependa questo moto circolare de' gravi e de' leggieri, cioè se da principio interno o esterno.
SALV. Stando nel problema di che si tratta, dico che quel principio che faceva andar la palla in volta mentre era nel concavo lunare, è il medesimo che gli mantiene la circolazione anco nello scendere: lascerò poi che l'autore lo faccia interno o esterno a modo suo.
SIMP. L'autore proverà che non può esser né interno né esterno.
SALV. Ed io risponderò che la palla nel concavo non si muoveva, e sarò libero dal dover dichiarare come discendendo resti sempre verticale al medesimo punto, attesoché ella non vi resterà.
SIMP. Bene; ma come i gravi e i leggieri non possono aver principio né interno né esterno di muoversi circolarmente, né anco il globo terrestre si muoverà di moto circolare; e così avremo l'intento.
SALV. Io non ho detto che la Terra non abbia principio né esterno né interno al moto circolare, ma dico che non so qual de' dua ella si abbia; ed il mio non lo sapere non ha forza di levarglielo. Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muover la Terra è una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, e che e' crede che si muova anco la sfera stellata; e se egli mi assicurerà chi sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra. Ma più, io voglio far l'istesso s'ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in giù.
SIMP. La causa di quest'effetto è notissima, e ciaschedun sa che è la gravità.
SALV. Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità. Ma io non vi domando del nome, ma dell'essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro, eccettuatone il nome, che a questa è stato posto e fatto familiare e domestico per la frequente esperienza che mille volte il giorno ne veggiamo; ma non è che realmente noi intendiamo più, che principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettoché (come ho detto) il nome, che più singulare e proprio gli abbiamo assegnato di gravità. doveché a quello con termine più generico assegnamo virtù impressa, a quello diamo intelligenza, o assistente, o informante, ed a infiniti altri moti diamo loro per cagione la natura.
SIMP. Parmi che quest'autore domandi assai manco di quello a che voi negate la risposta; poiché e' non vi chiede qual sia particolarmente e nominatamente il principio che muove i gravi e i leggieri in giro, ma, qualunque e' si sia, cerca solamente se voi lo stimate intrinseco o estrinseco: che se bene, verbigrazia, io non so che cosa sia la gravità, per la quale la Terra descende, so però ch'ell'è principio interno, poiché, non impedito, spontaneamente muove; ed all'incontro so che il principio che la muove in su, è esterno, ancorché io non sappia che cosa sia la virtù impressale dal proiciente.
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