Notiziario n. 23 - Inverno 2001 |
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Occhi giganti sul cielo |
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di Christian Lavarian (Associazione Astrofili Trentini) |
La notte del 4 settembre scorso, nella solitudine del Cerro Paranal cileno, in un clima di grande eccitazione si è aperto verso il cielo l'ultimo gigantesco occhio del telescopio VLT, il più imponente osservatorio astronomico del pianeta. Il Very Large Telescope è lo strumento più avanzato e raffinato, oltre che potente, di cui la ricerca astronomica più oggi disporre: non è costituito da un unico telescopio, ma da quattro strumenti alloggiati in singole enormi costruzioni, ognuno dei quali possiede uno specchio da 8 metri di diametro. I quattro telescopi, grazie al controllo di un supercomputer dell'ultima generazione, potranno osservare simultaneamente lo stesso oggetto celeste come un unico grande strumento, fornendo l'immagine risultante equivalente a quella di un telescopio "virtuale" di ben 16 metri di diametro, di gran lunga più grande di qualsiasi altro strumento esistente.
Lo specchio del quarto telescopio, Yepun lo hanno chiamato i ricercatori, ha puntato con precisione una lontana nebulosa planetaria nella nostra galassia, residuo millenario della morte d'una stella di tipo solare, fornendo immagini di altissima qualità, come d'altronde avevano fatto nei mesi scorsi i suoi "fratelli" più anziani.
Yepun, la stella Sirio per l'antica popolazione Mapuche, Melipal, la Croce del Sud, Kueyen, la Luna, e Antu, il Sole, che ha visto la "prima luce" nel maggio di due anni fa, ora stanno passando le ultime verifiche prima di poter lavorare finalmente all'unisono nella primavera del 2001.
La storia della realizzazione di questo osservatorio cominciò molti anni fa, e rappresenta oggi senza dubbio uno dei punti più alti raggiunti dalle capacità tecniche, scientifiche e gestionali in campo astronomico. L'idea di questo nuovo, rivoluzionario telescopio nacque nel 1977, durante un congresso dell'ESO (l'Osservatorio Australe Europeo, di cui fa parte anche l'Italia) dedicato ai futuri grandi telescopi. Iniziò da subito la ricerca di un sito adatto per erigere la struttura: il deserto cileno, già sede di numerosi telescopi internazionali, era indicato come la sede migliore, ed il Cerro Paranal come un luogo dalle caratteristiche climatiche eccezionali, per un astronomo ovviamente. La limpidezza del cielo, una quasi totale assenza di precipitazioni, la scarsa turbolenza atmosferica fanno di questo luogo, distante 600 chilometri dalla prima forma di civiltà, un paradiso per l'osservazione celeste.
Dieci anni dopo l'ESO approvava definitivamente il progetto, e dopo ancora un decennio veniva realizzata la prima struttura ospitante il telescopio Antu, pesante 450 tonnellate. Nel mezzo ci sono state molte difficoltà, e non solo di carattere tecnico. La più difficile da superare è stata senz'altro la realizzazione dei quattro specchi monolitici, che non era mai stata affrontata prima in queste proporzioni. Gli specchi da 8,2 metri sono così sottili (appena 20 centimetri) che si romperebbero sotto il loro stesso peso, se non fossero sostenuti da centinaia di martinetti idraulici, che ne deformano con un controllo elettronico la figura, in modo da adattarla alle condizioni atmosferiche. Il lentissimo trasporto per mare e per strada dei quattro telescopi verso la cima del Paranal ha tenuto con il fiato sospeso gli astronomi per diverse settimane. Assai impegnativo è stato anche realizzare il complesso software per gestire unitamente gli strumenti.
A queste difficoltà se ne è aggiunta un'altra, di carattere legale, che rischiava di far saltare clamorosamente l'intero progetto: una famiglia possidente cilena rivendicava diritti territoriali sul luogo dove sarebbe stato eretto l'osservatorio, impedendo di fatto per molti mesi lo svolgersi dei lavori. L'intervento del governo del Cile ha permesso di risolvere la questione, che altrimenti avrebbe assunto il carattere di una tremenda beffa.
L'Italia ha avuto un ruolo determinante nella realizzazione di questa impresa. È innanzitutto un grande successo, l'ennesimo, per Riccardo Giacconi, direttore dell'ESO, che dopo aver portato fasti al programma del Telescopio Spaziale, si dedicava con entusiasmo alla nuova sfida del telescopio più grande del mondo, vedendone dopo molti anni la realtà. Massimo Tarenghi (ospite a Trento alcuni anni fa) ha diretto la progettazione e la realizzazione delle strutture. Infine Elvio Renzini, fisico italiano trasferitosi in America, ora guiderà le osservazioni condotte con il VLT.
La comunità astronomica è in fibrillazione, poiché si schiudono ora innumerevoli possibilità di ricerca e si intravedono soprattutto le risposte a tanti interrogativi ancora irrisolti. E possiamo scommettere che il telescopio più grande del mondo porterà alla luce altrettanti misteri, che rinnoveranno l'eterna affascinante ricerca del sapere.
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