Notiziario n. 22 - Autunno 2000 |
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CCD alle porte del nuovo millennio (Seconda parte) |
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di Paolo Grassi (Associazione Astrofili Trentini) | (Segue dal numero precedente) |
In questa seconda ed ultima parte, sarà affrontato il problema riguardante la "giusta scelta di apparecchiature e strumenti" necessari ad acquisire un corretto utilizzo di un sistema CCD e, di carpirne quindi i segreti per poter così realizzare immagini interessanti e ricche quindi di informazioni per un utilizzo anche scientifico. Infatti, è indispensabile sapere che ogni elemento di un sistema CCD (compreso di computer, telescopio, accessori ecc.) per la cattura di immagini, deve lavorare in armonia con tutte le altre apparecchiature correlate. Per raggiungere quest'obiettivo, è richiesta un'attenta pianificazione dei singoli elementi; infatti, un sistema CCD può sia procurare un emozionante viaggio nell'Universo, sia a conseguire una completa frustrazione.
Saturno ripreso da Thierry Legault. Telescopio Meade 12" e camera HX516. |
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La prima domanda che dovremo porci è essenzialmente: quale tipo di immagini siamo interessati ad acquisire?
Persone come il britannico Jack Newton o l'americano Donald Parker sono considerati i "guru" dell'immagine digitale e ognuno di loro si occupa nell'acquisizione di uno specifico "target" e cioè: immagini planetarie dal Dr. Parker e oggetti deep-sky (cielo profondo) per Newton. È anche vero che entrambi portano "un bagaglio" di svariati anni nell'esperienza astrofotografica di immagini elettroniche, ma molti dei loro successi sono radicati dall'ottimizzazione dell'equipaggiamento e dalle raffinate tecniche per il proprio specifico campo di lavoro, ed è per questo motivo che hanno ricevuto acclamazioni internazionali per le loro immagini CCD.
Oggi, molti appassionati utilizzano la maggior parte delle loro tecniche e dei loro segreti per la corretta acquisizione di immagini digitali; basti pensare al francese Thierry Legault, esperto per lo più nella tecnica di riprese in alta risoluzione di soggetti planetari, seguito dal più recente Maurizio di Sciullo e dal nostro connazionale Giovanni dal Lago interessato ultimamente alla cattura di frame, in alta risoluzione, rappresentanti il nostro Sole.
È importante tenere conto di queste osservazioni, in quanto la selezione per un telescopio, congiunto ad un rivelatore ottimale, dipende fortemente da un sistema in sintonia per l'acquisizione di pianeti o di oggetti deep-sky.
Ora analizzeremo punto per punto le relative parti riguardanti il giusto compromesso tra i componenti di un corretto sistema di acquisizione di immagini digitali.
Innanzi tutto un sistema CCD include quattro parti fondamentali:
Montatura
La montatura deve essere stabile il più possibile, migliore ancora sarebbe se opportunamente adattata ad una colonna di sostegno progettata a hoc e completa naturalmente d'inclinazione della latitudine del luogo d'osservazione, deve essere perfettamente in bolla, ma necessita innanzi tutto di uno stazionamento prevalentemente equatoriale. La testa equatoriale è un altro componente meccanico basilare per operare in maniera corretta, infatti, i moderni telescopi computerizzati che sono in grado di inseguire anche in modo altazimutale, nella però sola limitazione delle osservazioni visuali del cielo, sono insufficienti per riprese fotografiche e in maniera analoga anche per le riprese effettuate con le moderne camere elettroniche.
Le montature più prestigiose ed affidabili sono le Losmandy, l'EM200 della Takahashi, e la sorprendente GTO dell'Astro-Phisics dotata quest'ultima addirittura di puntamento automatico mediante comando vocale.
Montatura Losmandy G11 divisibile in 3 sezioni per agevolarne il trasporto. | Montatura Takahashi EM 500 dotata di colonna. | Montatura Astro-Phisics 900 GTO applicata ad una colonna metallica. |
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Con l'avvento di questo tipo di strumentazione si è costretti anche a fare i conti con terminologie apparentemente difficili e ostili quali: Smart Drive (dispositivo di guida autogestibile dall'utente), HP (puntamento ad alta precisione), PEC (correzione dell'errore periodico), funzione GO TO (comando che permette la ricerca di un oggetto in modo completamente automatico), che pian piano cominciano a comparire nel vocabolario di ogni astrofilo.
Lo Smart Drive e il PEC rappresentano entrambi la medesima funzione, ma la differenza consta che il primo è compreso in un telescopio Meade, mentre il secondo è adottato dalla Celestron.
Un semplice esempio pratico dell'aiuto di queste funzioni riporta che con un accurato allineamento polare e un piccolo errore periodico, diventa possibile eseguire un'esposizione di circa un minuto senza la necessità di guidare; ebbene qui possiamo notare il disaccordo tra i costruttori di telescopi, i quali enunciano se non ricordo male esposizioni dai tre ai cinque minuti senza la benché minima necessità di guidare.
Indispensabile è anche la presenza di un connettore RS-232 per l'interfacciamento ad un personal computer, ed un connettore CCD per il collegamento ad una camera CCD. Infatti, tramite questi due elementi abbiamo anche la comoda possibilità di gestire il sistema CCD a distanza, magari riparati al caldo durante una fredda sessione invernale.
Telescopio
A prima vista un buon telescopio si potrebbe considerare uno strumento dotato di una notevole apertura, ma in realtà non è per niente vero, in quanto un piccolo strumento è sufficiente per delle buone immagini astronomiche, grazie sia alla piccola apertura che risente in maniera lieve alla turbolenza del seeing, sia alla capacità di mostrare un campo notevolmente più ampio.
Alcuni, infatti, utilizzano con profitto riprese a grande campo ottenute per merito dell'accostamento di un rivelatore CCD ad un comune obiettivo fotografico. Quindi la caratteristica fondamentale è quella di ottenere tramite un'opportuna combinazione tra rivelatore CCD e telescopio, una "lunghezza focale" adatta alla ripresa di immagini astronomiche. Per questo motivo si può appurare che i telescopi più versatili sono gli Schmidt-Cassegrain, infatti, si possono considerare universali, pur offrendo prestazioni non assolute ma sicuramente buone sia per oggetti di cielo profondo che per pianeti.
L'unico punto debole (se possiamo così definirlo) è l'eccessiva lunghezza focale, e naturalmente è possibile accorciarla mediante appositi accessori, il quale grazie all'utilizzo di particolari riduttori è possibile appunto ridurla per adattare la giusta lunghezza focale ad un dispositivo CCD e per poter così realizzare anche immagini con maggiore campo di ripresa.
Sul mercato possiamo trovare due tipi di riduttori: quello a f/6,3 e quello a f/3,3 (quest'ultimo denominato Maxfield per il solo uso CCD), è inoltre possibile eseguire una doppia riduzione mediante una coppia di riduttori da f/6,3 opportunamente adattati, per "accorciare " la lunghezza focale di un telescopio a f/10 sino a portarlo ad un'apertura di circa f/4.
Un telescopio automatizzato è la migliore scelta perché gestibile a distanza e di facile e conseguente abbreviazione del tempo di utilizzo con l'unico inconveniente del suo alto valore di acquisto.
I deviatori o diagonali, è meglio non utilizzarli in combinazione ad un dispositivo CCD, a meno che questi non siano di ottima qualità come il Lumicon o il Televue, altrimenti questi ne deturpano l'immagine in maniera preponderante.
Particolare flip mirror della True Technology utilizzabile allo stesso tempo come unità portafiltri per l'inserimento di filtri dicroici RGB o fotometrici. |
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Questa particolare componente è utilizzata con successo con strumenti Schmidt Cassegrain come i Meade, i quali soffrono di un fastidioso image-shift (spostamento del fuoco), cioè man mano che si agisce sulla manopola di focheggiatura si può notare (anche mediante un'oculare) che il relativo oggetto inquadrato, si sposti orizzontalmente nel campo del telescopio. I difetti di questa unità consistono nella richiesta di un adeguato spostamento di fuoco interno ed in alcuni casi possono restringere particolarmente il campo di vista, su telescopi provvisti di veloci rapporti focali; come ad esempio strumenti provvisti di riduttore.
Per eliminare il problema dell'image shift (che ne risentono in parte quasi tutti i telescopi) è possibile cambiare il proprio fuocheggiatore con un modello della JMI (marca leader nell'accessoristica di telescopi) e con il suo conseguente costo, in quanto bisogna adattarlo allo strumento, altrimenti è preferibile risparmiare per fornire al proprio telescopio un dispositivo di fuocheggiatura elettrica, ottimo anche per l'utilizzo a distanza. Attenzione: questo non elimina e nemmeno riduce il difetto, ma aiuta semplicemente nelle operazioni di fuocheggiatura. In questo modo le alternative sono due: o acquistare l'NGF-DRO, progettato sempre dalla Jim's Mobile Inc. USA, che è un validissimo prodotto che consente tramite un sofisticato dispositivo di lettura digitale, una messa a fuoco con la precisione di un decimo di millimetro, altrimenti pensare all'acquisto del dispositivo DFC (molto più economico) che consiste in una alternativa meccanica di basso costo, a quello elettronico (Dro).
Vediamo ora una tabella che utilizzeremo in seguito:
Rivelatore CCD
Un criterio corretto per l'acquisizione di immagini digitali per un utilizzo prettamente scientifico, sarebbe quello di acquistare il telescopio in base alle caratteristiche della camera CCD, ma dato che chi si accosta la prima volta o chi preferisce rimanere nel campo amatoriale, può semplicemente basarsi sul giusto compromesso dei componenti.
È inoltre indispensabile che l'astro-imagers conosca il cosiddetto criterio di Nyquist; questo saggio ci afferma che generalmente sono richiesti due pixel per generare la visualizzazione di una stella e utilizzandone un numero maggiore non incrementerà le informazioni, in quanto l'incremento dei pixel in una immagine stellare ne riduce in maniera drastica la quantità delle informazioni raccolte.
Ora, dato che nelle migliori condizioni di osservazione avremo circa da 3 a 3½ arcsec di cielo (solo poche notti all'anno), possiamo considerare che buone immagini deep-sky si possono ottenere intorno a 2" o poco più, mentre le immagini di soggetti planetari saranno migliori con una scala di ½" o meno per pixel. Otteniamo in pratica:
Bisogna fare anche attenzione che CCD con piccoli pixel non sono adatti per un telescopio avente una lunghezza focale lunga, e strumenti con corte focali non sono adatti per rivelatori CCD aventi pixel grandi. Inoltre, se avremo la fortuna di osservare da un particolare sito e beneficiare di un seeing eccezionale, potremo utilizzare CCD aventi pixel più piccoli. Per calcolare la quantità di campo coperto dalla matrice di pixel dei CCD (espresso in secondi d'arco), basta utilizzare questa semplice formula:
Dove:
Per utilizzare con profitto la precedente formula è necessario conoscere le dimensioni dei pixel (espressi in micron) dei dispositivi CCD riportati in questa tabella:
Le parentesi che notiamo per alcuni CCD indicano che sono stati semplicemente adattati per l'uso astronomico, infatti, possiamo notarlo anche dalla dimensione del numero di pixel che è di tipo rettangolare, utilizzato in principio per applicazioni video.
Esempio pratico: proviamo a vedere se il sensore CCD ICX055BK, montato ad esempio nella camera MX5-C della Starlight Express, è adatto per la lunghezza focale di un classico C8 da 20 cm; questa è una camera particolare in quanto dotata della funzione "single shot colour" la quale decodifica i segnali di intensità di ciascun pixel e ricostruisce, con un algoritmo piuttosto complesso, un'immagine "true colour" a 24bit di alta qualità.
Il valore 0,81 non si ritiene adatto a riprese planetarie a meno che non si utilizzi una lente di Barlow per aumentare quel tanto che basta la lunghezza focale.
Al contrario, 2,057 arcsec sono ottimali per riprese profonde, l'unico inconveniente quello di fornire al proprio telescopio ben due riduttori da f/6,3.
Un altro metodo per stabilire la giusta copertura di cielo è quello proposto da Roger Sinnot riportato nella figura qui sotto, dove è solamente necessario congiungere con il valore delle dimensioni in micron dei pixel del sensore CCD riportate a destra, con la lunghezza focale del telescopio (espressa in pollici) presente al centro, rilevando così il numero (espresso in secondi d'arco) della copertura di cielo dei pixel rappresentati sulla sinistra.
Altra formula particolarmente utile è quella di ricavare il campo (in primi) inquadrato da un chip quando lavora accoppiato ad un dato sistema ottico.
Esempio: calcoliamo il campo inquadrato dal chip KAF-400 con un comune Schmidt-Cassegrain da 20 cm a f/10.
Notiamo così che il campo inquadrato è di 11,7x7,8 primi d'arco ed equivale a poco più di un terzo di Luna piena sul lato più lungo del sensore. A questo punto si capisce la cruciale importanza di un riduttore di focale, dato che per acquistare chip sensibilmente più grandi, si deve spendere sensibilmente di più!
Altra caratteristica interessante è un rivelatore CCD avente una risposta spettrale in una determinata lunghezza d'onda: chip che hanno una spiccata sensibilità verso il blu sono rivelatori interessanti per uso fotometrico e riprese in tricromia, mentre chip che hanno una risposta nel rosso sono più indicati per oggetti deboli come galassie o delicate strutture nebulari. Dandovi un consiglio; molto valida a mio avviso è la linea di prodotti della Starlight Express, che oltre alle ottime caratteristiche e al prezzo particolarmente competitivo, riesce a coprire egregiamente (calcoli alla mano) una vasta gamma di lunghezze focali di telescopi.
Computer
Anche il computer è un elemento fondamentale. Infatti, oltre ad essere indispensabile per riprese CCD è possibile utilizzarlo con particolare profitto nella ricerca e la centratura degli oggetti da riprendere, lanciando come seconda applicazione uno dei tanti programmi di catalogazione stellare presenti sul mercato. In modo particolare consiglierei il software Megastar che oltre a simulare le tastiere di comando del telescopio, aggiornando in tempo reale la posizione effettiva del telescopio, calcolando le posizioni dei pianeti e disponendo di un vero e proprio database d'innumerevoli oggetti, include inoltre un'interessante caratteristica. Cioè quella di tenere un registro di tutti gli oggetti ricercati durante una sessione osservativa.
Caratteristica essenziale è quella di possedere un hard-disk piuttosto capiente, anche se penso che al giorno d'oggi non sia un particolare problema. Bisogna pensare al fatto che le immagini digitali richiedono una notevole quantità di spazio disponibile, in quanto l'immagine appena ripresa, che è preferibile convertirla in un formato standard come ad esempio in TIFF o FITS, richiede molto più spazio che il singolo formato della camera in possesso ma con il vantaggio di contenere molte più informazioni per così in seguito elaborarle mediante un opportuno software di elaborazione per immagini astronomiche.
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