Notiziario n. 21 - Estate 2000 |
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Astronautica tra passato e futuro |
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di Christian Lavarian (Associazione Astrofili Trentini) |
Cape Kennedy. Lo scorso 28 maggio, alle ore 08.40 italiane, sulla pista della più nota base missilistica negli Stati Uniti ha dolcemente atterrato lo Shuttle Atlantis, concludendo una permanenza di nove giorni attraccato alla missione alla stazione spaziale internazionale. Una fondamentale missione di "rifornimento" con lo scopo di sostituire parti danneggiate o non funzionanti, realizzate soprattutto per alzare di alcuni chilometri l'orbita della stazione, pericolosamente abbassata visto che da quasi un anno non veniva più corretta.
Alpha, com'è comunemente chiamata la grande struttura in costruzione a 500 km d'altezza dalla Terra, sostituirà l'anziana MIR e diventerà per i prossimi anni il più grande (e per certi versi unico) centro di sperimentazione scientifica al di fuori dell'atmosfera terrestre (qui sopra vediamo come apparirà la stazione spaziale, una volta che sarà completata). Anche se la stessa MIR, pur fra mille problemi, resiste ancora alle condizioni estreme dell'ambiente spaziale ed alle difficoltà della sua gestione economica, che vede la Russia alla continua ricerca di partner, sempre più spesso privati, che permettano di prolungarne la vita operativa. Ricordiamo che la MIR ("pace", in russo) avrebbe dovuto disintegrarsi nella nostra atmosfera già quest'estate, ma ha potuto proseguire nella sua missione grazie a finanziamenti privati, ed ora è di nuovo abitata.
Nell'attesa che Alpha possa godere di un destino altrettanto felice, saranno necessari ben 43 voli, divisi tra americani e russi, per portare a compimento quest'impresa. Un impegno finanziario che non ha precedenti nella storia dell'astronautica, nemmeno per la conquista della Luna: una cooperazione da 60 mila miliardi ripartiti tra USA, Russia, Canada, Giappone e gli 11 paesi europei dell'ESA (l'Ente Spaziale Europeo, che comprende anche l'Italia), che costerà altri 170 mila miliardi per i dieci anni di vita prevista (ma saranno probabilmente di più, come ha dimostrato la MIR). Negli ultimi tre anni la stazione spaziale ha visto l'intenso sforzo progettistico ed organizzativo di oltre 1000 ricercatori di 200 istituti di ricerca e laboratori.
Se la tabella di marcia procederà regolarmente Alpha potrà essere abitata per la primavera del 2001 da tre astronauti: il comandante americano Bill Sheperd e i russi Yuri Gidzenko e Sergei Krikalev, quest'ultimo già veterano delle missioni MIR. A partire dal 2002 le presenze stabili sulla stazione diverranno sei, costituite da astronauti di nazionalità diverse. In realtà parte della stazione avrebbe dovuto essere operativa già in questi mesi, se innumerevoli ritardi da parte russa non avessero fatto slittare i programmi di lancio. Una volta pronta Alpha sarà lunga quasi cento metri e composta da diversi moduli per le più svariate attività: potremo vederla ad occhio nudo come la "stella" più brillante del cielo, mentre naviga lo spazio a 500 km d'altezza e 20 mila km/h.
Di fronte ad un tale dispiegamento di mezzi è naturale chiedersi quali siano effettivamente gli scopi che hanno portato a questo progetto, e le attese che vi sono riposte. Fino a 10 anni fa una stazione spaziale poteva essere considerata luogo privilegiato per il reciproco controllo militare tra le grandi potenze, ma oggi per fortuna un tale scenario non ha ragione d'essere. Alpha sarà utilizzata per innumerevoli scopi scientifici, tecnologici ed industriali: la realizzazione di materiali particolarmente puri per applicazioni avanzate, esperimenti di genetica, biologia, medicina... Verrà posta particolare attenzione alle reazioni del corpo umano a prolungati periodi in assenza di gravità, in preparazione allo sbarco su Marte previsto per il 2020, 2030.
Nei confronti di una missione così costosa si levano naturalmente anche voci contrarie, spesso provenienti da prestigiose istituzioni: molti considerano il progetto troppo oneroso in rapporto al guadagno tecnologico che potrà effettivamente produrre. Occorre anche considerare che il grande impegno economico profuso per la stazione spaziale internazionale comporterà una riduzione dei fondi dedicati ad altre missioni scientifiche.
Ma nel frattempo l'umanità potrà disporre di una nuova, grande casa nello spazio: un ulteriore, piccolo passo verso le stelle.
Il 12 aprile si è celebrata nel mondo la giornata dei cosmonauti, per ricordare i tanti coraggiosi che volarono nello spazio in un periodo, quello d'oro dell'astronautica negli anni '60 e '70, in cui viaggiare al di fuori dell'atmosfera terrestre era un'impresa ardimentosa come nessun'altra. Le straordinarie conquiste che oggi abbiamo acquisito hanno richiesto, come spesso la storia insegna, un tragico contributo di vite umane.
Questa data non fu scelta a caso, poiché essa rappresentò due momenti fissati indelebilmente nella memoria di chi visse in prima persona quegli anni pionieristici: il primo volo di un uomo nello spazio profondo, quello del colonnello sovietico Yuri Gagarin il 12 aprile 1961, e l'incredibile odissea vissuta da tre coraggiosi astronauti a bordo dell'Apollo 13, il 12 aprile 1970. A quest'ultimo evento sarà dedicata particolare attenzione dai media, trattandosi del trentesimo anniversario: un paio d'anni fa il talentoso regista Ron Howard dedicò un film, pluripremiato, all'avventura che tenne con il fiato sospeso milioni di persone, in ansia per la sorte di tre uomini che a quel tempo erano considerati come semidei, eroi pronti ad ogni rischio pur di proseguire nella conquista dello spazio. E di rischi mortali ne corsero a non finire quel giorno di trenta anni fa, per restare vivi e poter tornare a casa.
"Houston, we've got a problem": così il comandante della missione Lovell comunicò al centro di controllo di Houston che qualcosa non funzionava per il verso giusto, mentre la navicella destinata alla Luna era circa a metà del suo viaggio cosmico. Pochi minuti prima Lovell, Swigert e Haise avevano udito un forte scoppio nel modulo di comando: una rapida indagine aveva confermato trattarsi di una delle celle a combustile, che servivano ad alimentare i sistemi elettrici, esplosa a causa di un cortocircuito.
La situazione era grave, poiché la missione verso la Luna, con il previsto atterraggio nei pressi del cratere Fra Mauro, doveva essere annullata. Ma di lì a poco peggiorò bruscamente, quando uno dei serbatoi di ossigeno cominciò a perdere gradualmente pressione: ciò avrebbe significato una condanna a morte per i tre astronauti, causa l'anidride carbonica prodotta dal loro respiro, che non sarebbe più potuta essere adeguatamente filtrata.
Diverse squadre si misero al lavoro a Houston per trovare soluzioni a quella che si prefigurava come una terribile tragedia, un disastroso schiaffo alla supremazia americana nello spazio appena conquistata. Fu deciso di far circumnavigare la Luna alla navicella spaziale, in modo da risparmiare più combustibile possibile per il rientro: nel frattempo, per evitare di consumare le preziose riserve di energia, vennero spenti il computer e i dispositivi di riscaldamento.
La temperatura scese sotto lo zero costringendo i tre poveri astronauti, già messi a dura prova dalla tensione, a passare diverse ore in una "cella frigorifera". La parte più difficile doveva però ancora arrivare: per effettuare il rientro a Terra il modulo di comando doveva essere indirizzato con estrema precisione, con il rischio, sbagliando manovra, di bruciare per l'elevatissimo calore prodotto dall'attrito atmosferico.
Il computer di navigazione era fuori uso, cosicché gli astronauti, come antichi marinai, dovettero utilizzare il riferimento astronomico della Terra e del Sole per realizzare una manovra assai complessa. Con incredibile freddezza vi riuscirono, e poterono tornare ad abbracciare le loro famiglie ed idealmente il mondo intero, che li festeggiò per mesi con onori che poco ebbero da invidiare a quelli riservati all'equipaggio dell'Apollo 11.
Oggi volare nello spazio appare molto più facile: le missioni dello Shuttle americano sono quasi operazioni di routine, ma il pericolo è sempre in agguato, nonostante i grandi passi in avanti della tecnologia. Ricordiamo tutti la tragedia del Challenger, scioccante monito in un momento di grande slancio nella conquista dello spazio. L'astronauta odierno, a differenza di trent'anni fa, è sempre più uno scienziato che deve essere perfettamente preparato agli scopi della missione affidatagli, ed è certamente meno impegnato da un punto di vista fisico: forse meno eroe di un tempo, almeno ai nostri occhi, addomesticati dalle frenesie televisive.
Ma le cose, in un futuro non molto lontano, potrebbero meravigliosamente cambiare: ne è la prova vivente il senatore John Glenn (che vediamo qui a lato nella sua tuta spaziale), tornato a volare sullo Shuttle alla bella età di settant'anni, forse più per una provocazione spettacolare che per effettivi motivi scientifici. Egli ha tuttavia dimostrato come un giorno ormai vicino potremmo essere tutti viaggiatori fra le stelle.
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