Notiziario n. 20 - Primavera 2000 |
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Novità astronomiche |
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a cura di Marco Murara e Michele Bortolotti (Associazione Astrofili Trentini) |
Mercoledì 16 febbraio la NASA ha riconosciuto che il segnale che era stato captato al principio dell'anno e che era stato interpretato come un probabile indizio di vita della sonda Mars Polar Lander (MPL), si è invece rivelato essere di origine terrestre. Ciò costituisce davvero la pietra tombale della disgraziata missione su Marte.
"Il 4 gennaio abbiamo registrato qualcosa che poteva essere un segnale della sonda e ci siamo sentiti in dovere di sottoporlo ad un attento esame", ha affermato il direttore del progetto Richard Cook. "Al tempo stesso, abbiamo dato inizio ad una serie di analisi per determinare se quel segnale proveniva o meno da Marte".
La possibilità che i dati registrati il 4 gennaio dal radiotelescopio di 45 metri della Stanford University (California) contenessero qualche segnale emesso dal MPL, ha riacceso le speranze e ha ridato nuova vita all'attività di ricerca che era stata interrotta alla metà del mese. Anche alcuni radiotelescopi in Italia, Olanda e Gran Bretagna sono stati coinvolti nello sforzo di captare un qualche segnale lanciato dal MPL.
Purtroppo, analisi più accurate dei dati hanno mostrato che l'origine del segnale era terrestre e non marziana. Ogni ulteriore tentativo, perciò, è stato definitivamente annullato. Bisogna anche considerare, infatti, che la sonda MPL, se tutto fosse andato bene, era stata progettata per essere operativa per circa novanta giorni: passato tale periodo, il difficile ambiente marziano ne avrebbe probabilmente pregiudicato il normale funzionamento. E visto che la sonda è arrivata sul pianeta rosso al principio del mese di dicembre dell'anno scorso, pare proprio che anche la più ardita speranza debba ormai chinarsi di fronte al patente fallimento della missione.
L'attenzione della NASA si concentrerà ora sull'indagine che ha il compito di mettere in luce le cause della perdita del MPL. Tra la fine di marzo e l'inizio di aprile dovrebbe essere resa pubblica una prima relazione in proposito, assieme al rapporto della commissione d'inchiesta sul programma di esplorazione di Marte in generale. Sfortunatamente, l'assoluta mancanza di dati durante e dopo la discesa della sonda sul pianeta rende assai arduo stabilire con certezza le cause del fallimento.
Il 24 febbraio scorso la sonda Galileo ha completato con pieno successo il suo terzo e più ravvicinato passaggio presso il satellite gioviano Io, giungendo ad appena 199 chilometri dalla superficie del più interno dei quattro satelliti galileiani: erano esattamente le 14:32 UT.
"Siamo davvero contenti che in questo passaggio tutto sia andato bene", ha esclamato il direttore del progetto Jim Erickson. "I nuovi dati che abbiamo raccolto andranno a ingrossare le informazioni ottenute grazie ai due precedenti passaggi dell'ottobre e del novembre scorsi".
In particolare, gli scienziati sperano di riuscire a documentare i mutamenti avvenuti sulla superficie di Io nel corso di questi mesi. In occasione dei due primi passaggi, infatti, Galileo aveva registrato svariate eruzioni vulcaniche in atto sul satellite, tra le quali una che aveva generato una fontana di lava alta 1,6 chilometri.
Questo sorvolo ravvicinato nei pressi della luna gioviana è l'ultimo dei tre che erano stati programmati. È il primo, però, ad essere riuscito senza problemi. Durante i passaggi precedenti i sistemi elettronici della sonda erano stati messi in crisi dalle intense radiazioni incontrate: per motivi di sicurezza, il computer di bordo aveva azzerato tutte le operazioni in corso e aveva messo la sonda in fase di quiescenza per alcune ore. Solo i frenetici sforzi dei tecnici erano riusciti a riattivare i sistemi della sonda prima che si perdesse il momento favorevole per l'osservazione e la raccolta dei dati.
Anche questa volta, a dire il vero, si è rischiato che l'inconveniente si ripetesse come in passato: il programma destinato a disattivare la sonda per motivi di sicurezza è stato perciò disabilitato. La cosa sorprendente sta nel fatto che il problema si è presentato quando la sonda era a 2,1 milioni di chilometri da Giove, ovvero ad una distanza alla quale si riteneva non potesse verificarsi alcuna disfunzione provocata dalle radiazioni.
"È questo un ulteriore monito riguardo ai potenti effetti che può produrre la radiazione naturale nello spazio", osserva il rapporto del JPL pubblicato il 25 febbraio. "Fortunatamente la sonda Galileo è riuscita a sopravvivere ad una radiazione di potenza più che doppia rispetto a quella per la quale era stata progettata per resistere. L'esperienza maturata sarà senza dubbio di grande aiuto per la progettazione di future missioni destinate ad operare in ambienti caratterizzati da elevate radiazioni".
Ufficialmente, questo passaggio su Io è la prima tappa della Galileo Millennium Mission. Si tratta di una missione della durata prevista di un anno, iniziata lo scorso gennaio, quando è terminata la biennale Galileo Europa Mission. Se la sonda continuerà a rimanere in buono stato, passerà due volte nei pressi di Ganimede, nei mesi di maggio e dicembre prossimi. Inoltre svolgerà una serie di osservazioni del pianeta gigante, in collaborazione con la sonda Cassini, che alla fine dell'anno, nel corso del suo viaggio verso Saturno, dovrà passare vicino a Giove.
Al principio del mese di marzo, l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha presentato al pubblico il progetto di costruzione di una antenna capace di mantenere i contatti con la flotta europea di sonde spaziali. La nuova antenna, il cui diametro è pari a 35 metri, sarà collocata presso la città australiana di New Norcia, a circa 140 chilometri a nord di Perth.
Il sistema di comunicazione dell'ESA sarà così in grado di restare costantemente in contatto con le sonde destinate ad operare fuori dall'orbita della Terra, tra le quali le missioni Rosetta e Mars Express, che saranno operative nel 2003. Attualmente l'ESA ha già una rete di antenne, ma esse sono progettate per comunicare con sonde orbitanti intorno alla Terra e dunque non sono abbastanza potenti per tenere i contatti con sonde più lontane.
Dopo pesanti fallimenti finalmente i tecnici della NASA possono tirare un sospiro di sollievo e festeggiare. Il 14 febbraio scorso, infatti,dopo quattro anni di viaggio (il lancio era avvenuto il 17 febbraio 1996), la navicella NEAR si è avvicinata al satellite Eros (è da notare che proprio il giorno di S. Valentino sia stato raggiunto Eros, il dio dell'amore), e azionando i retrorazzi ha rallentato fino a venir catturata dal campo gravitazionale del satellite divenendone un satellite artificiale. Al momento di chiudere questo notiziario la NEAR sta orbitando a 240 chilometri dalla superficie di Eros, inviandoci ogni giorno spettacolari immagini con una risoluzione di soli 30 metri che ci rivelano la morfologia dell'asteroide. Nei prossimi mesi la sonda continuerà ad abbassarsi fino ad orbitare a soli mille metri dalla superficie.
Dai dati che dopo un viaggio di 258.000.000 di chilometri sono giunti sulla Terra sappiamo che Eros è un satellite largo 13 chilometri e lungo 35, al centro del quale (vedi immagine) appare un cratere del diametro di 5 chilometri. Possiamo già trarre alcune conclusioni confrontando le immagini di Eros con quelle degli asteroidi visitati precedentemente dalla Galileo e dalla stessa NEAR: Ida Mathilde e Gaspra.
Eros ha in comune con i primi due una superficie ricoperta da numerosi piccoli crateri, mentre rispetto agli stessi difetta di quelli più grandi. Nel piccolo panorama di questi piccoli corpi celesti Gaspra rimane quindi un'eccezione, con la sua superficie poco craterizzata. Come ben sappiamo, in astronomia il numero di crateri indica l'età di un corpo, per cui Gaspra sembra essere di formazione decisamente più recente rispetto agli altri.
Oltre ad una telecamera multispettrale la sonda è dotata di numerosi strumenti tra cui un altimetro laser per rilevare la tipografia dell'asteroide, spettrometri per conoscerne la composizione e mappare la distribuzione dei minerali sulla sua superficie ed altri strumenti per ricostruire campo magnetico e gravitazionale.
Questa missione ci potrà fornire importanti risultati sulla formazione ed il moto dei corpi che si trovano nella fascia degli asteroidi oltre che sulla loro composizione; quest'ultimo dato è molto atteso, dato che gli asteroidi potrebbero costituire delle future miniere dalle quali prelevare i minerali che si trovano solo in tracce sulla superficie terrestre.
La cosa certa è che di questa missione sentiremo parlare a lungo, anche perché su di essa la NASA dovrà puntare per recuperare credibilità e soprattutto fondi per le future missioni.
Già da alcuni anni la NASA e l'università Carnegie Mellon di Pittsburgh stanno lavorando ad un robot con l'obiettivo di impiegarlo nell'esplorazione planetaria.
Come abbiamo avuto modo di vedere in occasione della missione Pathfinder, quella dell'esplorazione planetaria attraverso robot sembra essere la strada giusta, data la crescente capacità di queste macchine di adattarsi e muoversi negli ambienti più impervi.
Nel luglio del 1997 Nomad, questo il nome del robot, è stato collaudato nell'arido deserto dell'Atacama in Cile. In quell'occasione il robot fu controllato a distanza da un'equipe di scienziati per più di 251 chilometri durante i quali sono state testate con successo le funzioni del robot, in particolare la capacità di evitare gli ostacoli, di autoguidarsi e le capacità della telecamera planosferica che fornisce un'immagine a 360 gradi dell'ambiente che circonda il robot e che in quell'occasione ha permesso a Nomad di trovare una roccia contenente resti di alghe fossili risalenti al Giurassico.
Nomad ha le dimensioni di una piccola autovettura con 4 grandi ruote motrici e sterzanti ed è dotato oltre alla telecamera planosferica di altre 4 telecamere stereoscopiche che permettono agli scienziati di analizzare in dettagli il terreno, di un laser scanner, un magnetometro ed alcuni strumenti per monitorare le condizioni meteorologiche.
Tra il 22 gennaio ed il 20 febbraio 2000 Nomad è stato impegnato nella sua prima vera missione: a 300 chilometri dalla base americana Mc Murdo ha vagato per la pianura antartica scoprendovi alcune meteoriti e confermando la sua autonomia e adattabilità alle condizioni ambientali estreme. Dopo il successo di questa missione aspettiamo la prossima uscita di Nomad, sperando di vederlo viaggiare tra non molto sulla superficie lunare o marziana.
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