Notiziario n. 19 - Inverno 2000 |
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Novità astronomiche |
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a cura di Marco Murara (Associazione Astrofili Trentini) |
In un comunicato del 18 novembre, l'ufficio stampa della NASA ha riferito che, per la seconda volta nel corso del 1999, una batteria sul modulo Zarya ha avuto dei problemi di funzionamento, costringendo la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) a operare con soltanto due terzi dell'energia solitamente disponibile.
In particolare, il guasto si è verificato durante un test di controllo, in occasione del quale le batterie vengono scaricate completamente e poi ricaricate più volte. La batteria numero 2 del modulo Zarya è riuscita a completare perfettamente un primo ciclo di scarica-ricarica, ma poi non è riuscita a scaricarsi del tutto all'inizio del secondo ciclo. Di conseguenza i tecnici hanno deciso di isolarla temporaneamente dal sistema elettrico della Stazione; inoltre il test sulle altre batterie è stato sospeso, almeno fino a quando il guasto sarà stato eliminato.
A prima vista, il malfunzionamento della batteria numero 2 sembra assai simile a quello della batteria numero 1 che si era verficato nel luglio scorso. Al principio pareva che il problema si fosse risolto, ma poi la capacità operativa della batteria ebbe un calo graduale, finché in agosto venne isolata dal sistema. Tutti gli sforzi compiuti per riportare in funzione la batteria numero 1 sono falliti e si è stabilito di sostituirla in occasione della prossima missione dello Shuttle, prevista per il marzo 2000.
Per quanto riguarda il nuovo guasto occorso alla batteria numero 2, si sta ancora cercando di porvi rimedio, ma al momento non si sa se questa volta i tentativi saranno coronati o meno dal successo.
Attualmente, dunque, la Stazione Spaziale opera con solamente quattro delle sue sei batterie, destinate a fornirle energia quando essa si trova in ombra. Comunque la Stazione sarebbe in grado di lavorare anche con tre batterie: per di più, fortunatamente, in questo periodo la sua orbita la porta a trovarsi quasi sempre esposta alla luce del Sole, cosicché non è necessario ricorrere spesso all'energia delle batterie.
Nonostante questo inconveniente, le operazioni programmate per la correzione dell'orbita non subiranno alcun ritardo: tali operazioni hanno la funzione di sistemare la Stazione nell'orbita adatta a ricevere il modulo di servizio Zvezda, che sarà lanciato dalla Russia all'inizio del 2000.
Alcuni astronomi avevano predetto una nuova pioggia meterorica, che avrebbe dovuto verificarsi verso il 10 o l'11 novembre, appena una settimana prima del picco delle Leonidi. Contrariamente alle previsioni, però, la pioggia non ha avuto luogo: astrofili e astronomi sono rimasti a bocca asciutta, anche se poi sono stati ampiamente ripagati dalle Leonidi.
La caduta di un gran numero di meteore, battezzate Linearidi, era stata pronosticata perché l'11 novembre la Terra è passata attraverso l'orbita della cometa a lungo periodo, recentemente scoperta, denominata C/1999 J3 Linear. E tale passaggio è avvenuto solo quaranta giorni dopo il transito della cometa, per cui si riteneva che l'orbita fosse particolarmente ricca di frammenti.
Per questa ragione, alcuni astronomi hanno predetto il verificarsi di una consistente pioggia meteorica, che avrebbe dovuto avere il radiante giusto in mezzo alla costellazione dell'Orsa Maggiore. Ma vari rapporti osservativi, comparsi su Internet, non hanno riferito alcuna pioggia straordinaria, arrivando tutt'al più a una o due meteore all'ora. La causa della mancata pioggia, probabilmente, va ricercata nel fatto che la cometa Linear ha un periodo orbitale stimato intorno ai 63.000 anni, mentre di solito le grandi piogge meteoriche sono associate a comete di breve periodo.
Al principio del novembre scorso, per la prima volta, gli astronomi sono riusciti a osservare il transito di un pianeta extrasolare attraverso il disco della sua stella: ciò ha portato non solo alla conferma dell'esistenza del pianeta stesso, ma anche alla raccolta di nuove informazioni su quel mondo lontano.
La scoperta della presenza di un pianeta intorno a HD 209458, una stella simile al nostro Sole, distante 153 anni luce, è avvenuta il 5 novembre, quando gli astronomi Geoff Marcy, Paul Butler e Steve Vogt hanno rilevato una piccola "oscillazione" nella posizione della stella. Oscillazioni simili sono state riscontrate in circa due dozzine di altre stelle e sono indizio della presenza di pianeti in orbita intorno a loro. Basandosi sui dati raccolti, Marcy e i suoi colleghi sono riusciti a determinare che il pianeta ha una massa pari a cinque ottavi di quella di Giove e orbita molto vicino alla sua stella, compiendo una rivoluzione completa in appena 3,5 giorni.
La scoperta è stata quindi comunicata ad un altro astronomo, Greg Henry della Tennessee State University, che gestisce una serie di telescopi automatizzati al Fairborne Observatory (Arizona) al fine di osservare i possibili transiti di pianeti extrasolari, quando cioè i pianeti passano esattamente davanti alla loro stella rispetto alla Terra.
Tutti i tentativi effettuati con altri pianeti extrasolari non hanno avuto successo. Ma il 7 novembre, esattamente al momento previsto utilizzando i dati raccolti da Marcy, Butler e Vogt, i telescopi di Henry hanno rilevato un calo dell'1,7% nella luminosità della stella, cosa che si può spiegare con l'ombra provocata dal passaggio del pianeta.
Combinando i dati sulla velocità radiale con quelli relativi al transito, gli astronomi sono ora in grado di conoscere meglio questo nuovo pianeta extrasolare. La diminuzione di luce al momento del passaggio indica che il pianeta ha un diametro più grande di quello di Giove di almeno il 60%. Tali dimensioni, associate con la massa ricavata dai dati sulla velocità radiale, comportano una densità di soli 0,21 grammi per centimetro cubo, pari a un quinto della densità dell'acqua liquida.
Ciò significa, dunque, che il pianeta deve essere classificato come un gigante gassoso, proprio come Giove. Ma i dati raccolti indicano anche che esso si troverebbe ad appena 5,25 milioni di chilometri dalla stella. Il problema è che le attuali teorie sulla formazione dei pianeti escludono che i giganti gassosi possano formarsi in regioni così vicine alla loro stella, poiché lo impedirebbero le temperature troppo elevate.
D'altra parte, molti altri pianeti extrasolari di grandi dimensioni sono stati scoperti in orbite molto ravvicinate alle rispettive stelle. Per questa ragione, gli astronomi stanno mettendo in discussione le loro teorie, ipotizzando che i grandi pianeti gassosi si sono formati lontano dalla stella, ma poi per qualche motivo sono "migrati" verso l'interno.
Alla fine di novembre, la commissione d'inchiesta, istituita dalla NASA per chiarire i motivi del fallimento della missione Mars Climate Orbiter, è giunta alla conclusione che la perdita della sonda è stata provocata da un errato utilizzo delle unità di misura, combinato con il mancato funzionamento del sistema di controllo che doveva rilevare tali errori.
La commissione, diretta da Arthur Stephenson, direttore del Marshall Space Flight Center, ha quindi formulato una serie di raccomandazioni al fine di evitare analoghi insuccessi nelle missioni future, che nei prossimi anni dovranno condurre ad una approfondita esplorazione del pianeta rosso.
La causa fondamentale dell'incidente - questa la conclusione del lavoro di indagine - è stato l'uso delle unità di misura anglosassoni in un file denominato "Small Forces", destinato a misurare gli effetti determinati dall'accensione dei propulsori sulla traiettoria della sonda. Gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory (JPL) avevano chiesto ai tecnici della Lockheed Martin, che avevano il compito di creare quel file, di utilizzare il sistema metrico decimale. Al momento della programmazione, perciò, al JPL si ritenne che la richiesta fosse stata soddisfatta e il file venne usato come se fosse stato redatto con il sistema metrico decimale.
Questo errore è entrato in gioco in occasione dell'accensione dei propulsori. Il Mars Climate Orbiter aveva un solo pannello solare, montato su un lato della sonda. La pressione solare sul pannello ha creato una forza asimmetrica che ha fatto ruotare la sonda su se stessa: tale forza è stata contrastata in un primo tempo dai volani collocati all'interno della sonda. Quando i volani si sono "saturati", ovvero hanno raggiunto la massima velocità possibile, i propulsori dovevano accendersi per un breve istante, al fine di ottenere quella che viene chiamata desaturazione del momento angolare.
La forza asimmetrica effettivamente registrata indicava che i propulsori avrebbero dovuto accendersi 10-14 volte più spesso del previsto. Questo non sarebbe stato certo un problema, se il loro effetto sulla traiettoria fosse stato calibrato correttamente. Il guaio è stato che il file incriminato utilizzava le libbre come unità di misura della forza, invece che la versione metrico decimale dei newton. E poiché una libbra è pari a 4,45 newton, i tecnici del JPL sono stati portati a sottovalutare l'effetto dei propulsori.
Perciò, quando il Mars Climate Orbiter è arrivato su Marte, si trovava almeno 170 chilometri fuori dalla sua traiettoria corretta: la sonda è andata così a schiantarsi sul pianeta, piuttosto che scivolare attraverso gli strati superiori dell'atmosfera come programmato.
Parlando alla conferenza stampa in occasione della quale sono stati presentati i risultati dell'inchiesta, Stephenson e altri due dirigenti della NASA hanno sottolineato che l'incidente e la conseguente perdita della sonda non sarebbe avvenuta se i tecnici del JPL e della Lockheed Martin avessero seguito tutte le procedure di coordinamento e di controllo previste.
La commissione d'inchiesta ha quindi messo in luce una serie di concause che hanno contribuito a permettere che l'errore nascesse, continuasse a produrre i suoi effetti e infine conducesse al totale fallimento della missione. Tali concause sono in particolare: l'incapacità di rilevare subito che la traiettoria era sbagliata; la scarsa familiarità del team di navigazione con la sonda; l'inefficienza dei sistemi di messa alla prova e di comunicazione; l'inefficacia del software di controllo; la decisione di non compiere un estremo tentativo di correggere la traiettoria quando la sonda era in prossimità di Marte.
La commissione, peraltro, non ha indicato nessuno in particolare come responsabile dell'accaduto, né al JPL né alla Lockheed Martin: si è preferito biasimare per l'insuccesso i gruppi di lavoro nel loro insieme.
La commissione si è invece preoccupata di enfatizzare le precauzioni da adottare per assicurare il successo della missione Mars Polar Lander. Oltre alle misure per fronteggiare i possibili problemi che potrebbero interessare i propulsori della sonda durante la discesa sul pianeta rosso, sono stati suggeriti alcuni modi per migliorare i sistemi di navigazione e di comunicazione.
Il rapporto della commissione non segna la fine dell'inchiesta sulla perdita del Mars Climate Orbiter. Una seconda fase, destinata a formulare raccomandazioni più ampie e approfondite per le future missioni della NASA, dovrà essere completata entro il prossimo 1° febbraio. Per ora, comunque, l'attenzione portata sugli errori commessi nella gestione del Mars Climate Orbiter dovrebbe essere sufficiente per far sì che tali cose non si ripetano in futuro. "Quella che ci è stata impartita dalla perdita del Mars Climate Orbiter è stata una lezione davvero molto dura", ha affermato Ed Stone, direttore del JPL. "Ma noi vogliamo impararla".
Negli ultimi giorni di novembre, la sonda Galileo ha completato con successo un altro sorvolo ravvicinato con il terzo satellite di Giove in ordine di dimensioni, Io, non senza dover affrontare alcuni problemi dell'ultimo minuto.
Il passaggio di Galileo è avvenuto a 300 chilometri di altezza sopra il polo meridionale di Io, alle ore 04.40 UT del 26 novembre scorso: si tratta del sorvolo più ravvicinato che sia mai stato compiuto fino ad ora rispetto a questa luna.
Appena quattro ore prima del sorvolo, le forti radiazioni incontrate da Galileo hanno fatto sì che il computer principale azzerasse tutte le operazioni in corso, mettendo la sonda in fase di quiescenza e fermando le osservazioni e le rilevazioni scientifiche. I tecnici hanno quindi iniziato, non senza una certa ansietà, ha mettere in atto una serie di comandi per ripristinare il normale stato di attività della sonda. Per fortuna Galileo ha recepito ogni istruzione, cosicché è riuscita a ritornare pienamente operativa alle 04.45 UT, giusto cinque minuti dopo il momento del passaggio più ravvicinato.
"Con così poco tempo a disposizione, si sarebbe anche potuto pensare di arrendersi", ha detto il direttore del progetto Galileo, Jim Erickson. "Ma i componenti della nostra squadra amano affrontare le sfide, anche se molti di noi hanno dovuto interrompere a metà la cena del Ringraziamento".
A dire il vero, comunque, i tecnici un po' se l'aspettavano che si verificasse qualche disfunzione a causa delle radiazioni: in occasione del passaggio ravvicinato avvenuto il 10 ottobre scorso, infatti, erano stati registrati problemi analoghi, seppure molto meno seri.
Tuttavia, poiché i suoi strumenti sono rimasti spenti per alcune ore, la sonda Galileo ha potuto compiere solamente metà delle osservazioni programmate in occasione di questo sorvolo. Ad ogni modo, tutto dovrebbe andare per il meglio in occasione del prossimo incontro ravvicinato con un altro dei satelliti maggiori di Giove, vale a dire Europa.
Questo volo radente su Io è avvenuto circa due anni dopo la decisione di estendere la missione Galileo e quasi quattro anni dopo l'arrivo della sonda nel sistema gioviano. Si è discusso se sia opportuno prolungare la missione di ancora un anno, in modo da includere un terzo passaggio nei pressi di Io, ma al momento non è stata presa ancora alcuna risoluzione in proposito.
Venerdì 3 dicembre, alle ore 16.22 UT, un razzo Ariane 4 è partito dalla base di lancio europea nella Guiana Francese. A bordo vi era un satellite da ricognizione, denominato Helios 2, che è stato posto in un'orbita eliosincrona esattamente 18 minuti e 25 secondi dopo il lancio: ogni operazione si è svolta perfettamente. Helios 2, costruito dalla Matra Marconi, è sostanzialmente un satellite militare gestito da Francia, Spagna e Italia. Il suo compito è quello di raccogliere fotografie ad alta definizione dei territori dei tre Stati.
Sul razzo Ariane 4 c'era inoltre il satellite Clementine, costruito dalle compagnie francesi Alcatel Space e Thomson-CSF. Da non confondere con la sonda Clementine che ha esplorato la Luna qualche anno fa, il satellite studierà l'ambiente radioelettrico terrestre.
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