Associazione Astrofili Trentini
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Indice di questo Notiziario


Notiziario n. 16 - Primavera 1999


Novità astronomiche

a cura di Marco Murara e Michele Bortolotti (Associazione Astrofili Trentini)


La MIR volerà ancora?

Il 22 gennaio scorso, il governo russo ha deciso di estendere la vita della stazione spaziale MIR dalla metà del 1999 fino al 2002, a patto che si trovino degli sponsor commerciali disposti a finanziare l'impresa. La delibera, firmata dal Primo Ministro russo Evgeny Primakov, stabilisce infatti che le operazioni a bordo della MIR potranno continuare: tuttavia non saranno più sostenute dal bilancio statale, come è stato fino ad ora, ma si dovrà far ricorso a capitali privati.

La stazione spaziale MIRAlexander Botvinko, vicedirettore dell'Agenzia Spaziale Russa, ha affermato: "Se Energia riuscirà a trovare i soldi necessari - ovvero, per dirla brutalmente, avrà uno sponsor -, allora la MIR continuerà a vivere. Se invece i finanziatori non si faranno avanti, allora seguiremo il piano prestabilito: la prossima estate la stazione sarà fatta uscire dalla sua orbita e distrutta".

Nel dicembre scorso, alcuni funzionari di Energia, l'istituto che gestisce la MIR per conto dell'Agenzia Spaziale Russa, avevano annunciato che erano stati trovati investitori privati disposti a finanziare la stazione spaziale per almeno tre anni. Tuttavia l'identità di tali investitori non è stata mai rivelata.

"Abbiamo un accordo preliminare in base al quale il contratto definitivo sarà sottoscritto quando il governo avrà adottato un'apposita delibera: ora tale delibera è stata presa e dunque non dovrebbero esserci problemi", ha asserito un portavoce di Energia, il quale ha anche fatto capire che dovrebbe trattarsi di una ditta straniera. Tuttavia il presidente di Energia, Yuri Semionov, aveva detto che gli investitori richiedevano al governo russo congrue garanzie per l'investimento: non è chiaro se la delibera di Primakov includa tali garanzie.

Alcune voci non meglio precisate parlano della Cina come possibile "acquirente" della MIR. In questi anni, infatti, questo paese ha cominciato a sviluppare il proprio programma spaziale, prevedendo l'invio di uomini nel cosmo: l'accesso alla MIR farebbe fare un grosso passo in avanti al programma spaziale della Cina, consentendole in futuro di giocare un ruolo rilevante nella Stazione Spaziale Internazionale.

La reazione americana al progetto che estende la vita della MIR è stata assai tiepida, per non dir di peggio. Il 27 gennaio scorso, tuttavia, un'importante organizzazione, la Space Frontier Foundation (SFF), ha emesso un comunicato stampa con il quale invita la NASA e il governo statunitense ad appoggiare la decisione russa.

"Se i russi riescono a trovare i fondi necessari per mantenere la MIR in orbita, gli Stati Uniti otterranno lo scopo di lavorare con loro alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale", ha detto il presidente della SFF, Rick Tumlinson. "Con la MIR in funzione, infatti, la Russia dovrà tenere attiva la propria squadra spaziale e il settore della ricerca tecnologica potrà beneficiare di nuovi flussi di denaro. Inoltre questa potrebbe essere la prova della 'commercializzazione' delle attività spaziali, cosa che la NASA sembra intenzionata a fare per la Stazione Spaziale Internazionale".

Il 20 febbraio è stato sostituito l'equipaggio della MIR. Secondo il progetto originario, questo equipaggio dovrebbe rimanere sulla MIR fino a giugno, giacché la distruzione della stazione spaziale è programmata per il mese di luglio. Tuttavia, quando fu annunciata la data del lancio, al principio di febbraio, i russi hanno detto che l'equipaggio ha una missione sulla MIR di sei mesi, cioè sino alla fine di agosto.


Plutone: pianeta o asteroide?

Al principio di quest'anno è sorto un vivace dibattito a proposito della classificazione di Plutone: si tratta di un vero e proprio pianeta oppure è meglio registrarlo come semplice asteroide, sia pure di grosse dimensioni? In effetti, se si considerano le sue caratteristiche fisiche e orbitali rispetto a quelle degli altri pianeti, si potrebbe propendere per la seconda soluzione. La gran parte di scienziati e astronomi, però, si è dichiarata contraria al cambiamento: poiché Plutone è sempre stato considerato un pianeta, non vi sono serie ragioni per cambiare le cose oggi, a settant'anni dalla scoperta.

Mercoledì 3 febbraio, l'International Astronomical Union (IAU) ha finalmente deciso: Plutone è e resta un pianeta; il numero "ufficiale" dei pianeti presenti nel sistema solare rimane dunque fissato a nove. In un comunicato stampa, il segretario generale della IAU, Johannes Andersen, ha detto che il motivo della decisione va ricercato nell'ostilità in seno alla comunità astronomica verso qualsiasi forma di classificazione diversa da quella attuale. "È politica della IAU far sì che le proprie decisioni siano fondate sul consenso del mondo scientifico: le decisioni in senso contrario, infatti, finirebbero per essere inefficaci e perciò inutili".

La IAU sta tuttavia considerando un sistema di classificazione degli oggetti "trans-nettuniani" che sono stati scoperti al di là dell'orbita di Nettuno negli ultimi decenni. Tra questi vanno annoverati anche Plutone e il suo satellite Caronte, ma tale progetto, ha sottolineato ancora Andersen, "ha come esplicito presupposto la natura planetaria di Plutone".

"Questa discussione sulla classificazione di Plutone", ha affermato Don Yeomans, scienziato del Jet Propulsion Laboratory (JPL), "è stata tanto assurda quanto controproducente. Queste dispute non fanno altro che disorientare il pubblico e distogliere gli astronomi dal loro lavoro".


I mutamenti del clima di Venere

Giovedì 18 febbraio, alcuni ricercatori dell'University of Colorado hanno affermato che con ogni probabilità la densa e calda atmosfera del pianeta Venere ha subito radicali cambiamenti climatici che potranno essere possibili anche sulla Terra.

In un articolo che sarà pubblicato nel numero di marzo del periodico Scientific American, gli scienziati planetari Mark Bullock e David Grinspoon delineano un nuovo modello dell'atmosfera venusiana, in base al quale fino a circa 30 milioni di anni fa il pianeta sarebbe stato avvolto da pochissime nubi.

Bullock e Grinspoon fanno risalire il loro modello fino a 800 milioni di anni fa, quando una gigantesca eruzione vulcanica avrebbe ricoperto l'intero pianeta con uno strato di lava profondo circa 10 chilometri. Tale evento avrebbe altresì rilasciato nell'atmosfera grandi quantità di vapore acqueo e di biossido di zolfo, entrambi responsabili del cosiddetto "effetto serra".

Mentre in seguito tali gas avrebbero provocato il surriscaldamento del pianeta, inizialmente avrebbero formato delle nubi capaci di schermare i raggi del Sole: la temperatura di Venere sarebbe quindi scesa fino a circa 90 gradi Celsius.

Con il raffreddamento del pianeta, le nubi di vapore acqueo sarebbero salite negli strati alti dell'atmosfera, dove l'energia solare le avrebbe disaggregate, liberando l'idrogeno e facendo ricadere sulla superficie il biossido di zolfo. Quando poi, oltre 200 milioni di anni fa, il pianeta tornò a riscaldarsi, le nubi si sarebbero dissolte lasciando un'atmosfera limpida.

Bullock e Grinspoon ritengono che Venere abbia avuto un cielo sereno per circa 200 milioni di anni, finché l'attività vulcanica riprese con rinnovato vigore, non più tardi di 30 milioni di anni fa, scagliando nell'atmosfera il materiale che oggi forma lo spesso strato di nubi venusiano.

"Il nostro modello mostra che Venere ha avuto cambiamenti dinamici nel recente passato", ha detto Bullock. "E poiché Venere e la Terra hanno un gran numero di affinità, ci potrebbero essere implicazioni anche per il futuro del nostro pianeta".

"Cambiamenti climatici radicali non sono cosa ignota sulla nostra Terra", prosegue Bullock, sottolineando come ci siano dati raccolti con il carotaggio dei ghiacci polari che mostrano sbalzi di oltre 10 gradi centigradi in meno di un decennio. Probabilmente in futuro la Terra finirà per assomigliare ancora di più a Venere: la maggiore energia del Sole farà evaporare gli oceani e innescherà un colossale "effetto serra" nel giro di un miliardo di anni. "Nel lungo termine, il destino della Terra è segnato".


L'aspirapolvere cosmico

La StardustDopo l’incontro ravvicinato della sonda Giotto con la cometa di Halley e gli spettacolari passaggi della Hyakutake e della Hale-Bopp, le comete ritornano di attualità grazie alla missione Stardust.

La sonda è stata lanciata con successo il 7 febbraio da Cape Canaveral grazie ad un vettore Delta II.

La missione Stardust, così come NEAR, Mars Pathfinder e Lunar Prospector, fa parte del programma Discovery che prevede il lancio di piccole sonde, poco costose con la collaborazione di aziende private ed enti pubblici.

L’obiettivo principale della missione è quello di raccogliere materiale cometario e riportarlo a Terra per le analisi. Il tutto avverrà grazie ad un incontro molto ravvicinato (150 Km dal nucleo cometario) con la cometa Wild nel gennaio del 2004.

All’appuntamento la Stardust giungerà dopo aver compiuto due orbite complete attorno al Sole ed aver utilizzato la forza di gravità del nostro pianeta come fionda gravitazionale per raggiungere la cometa a 1,86 unità astronomiche dal Sole. Al momento dell’incontro la cometa sarà lontana dal suo picco di attività; questo permetterà alla sonda di avvicinarsi al nucleo senza venir danneggiata e di riprendere immagini dettagliate del nucleo stesso. Durante questa fase la sonda esporrà un pannello ricoperto di aerogel (una sostanza a bassissima densità) che catturerà le particelle cometarie e la polvere cosmica, mentre altri strumenti documenteranno la frequenza degli impatti comtro la sonda stessa.

Al termine del fly-by la Stardust proseguirà il suo viaggio verso la Terra, raggiunta la quale nel 2006 sgancerà una capsula contenente il materiale raccolto che attraverso un paracadute raggiungerà la superficie terrestre in una zona desertica dello Utah nei pressi del Gran Lago Salato.

Dopo l’atterraggio il materiale verrà immediatamente trasportato al Johnson Space Center dove comincerà l’opera di analisi degli scienziati che sperano di trovare nell’aerogel più di un migliaio di particelle di materiale cometario di dimensioni superiori ai 15 micron ed un centinaio di grani interstellari con diametro compreso tra 0,1 ed 1 micron. Questo materiale oltre a fornirci numerosi dettagli sulla composizione delle comete ci permetterà di conoscere la composizione della nebulosa che 5 miliardi di anni fa originò il sistema solare.

La Stardust si può anche incontrare sulla rete telematica Internet, visitando il sito ufficiale del Jet Propulsion Laboratory, sul quale si possono reperire numerose immagini e ulteriori informazioni su questa missione. L’indirizzo di questo sito è http://www.jpl.nasa.gov.


Guidoni fa il bis

Dopo la missione STS-75 nel 1996 durante la quale Umberto Guidoni e gli altri cinque membri dell’equipaggio tennero al guinzaglio il satellite italiano Tethered dimostrando la sua efficienza nel produrre energia elettrica, l’astronauta italiano tornerà nello spazio a bordo dello Shuttle Discovery nell’aprile del 2000.

Guidoni è il primo componente scelto per partecipare alla missione STS-102 durante la quale verrà portato in orbita uno dei tre moduli logistici della stazione spaziale internazionale realizzati in Italia.

Leonardo, questo il nome del modulo, è lungo 6,40 metri e largo 4 metri e mezzo ed è in grado di trasportare in orbita 10 tonnellate di materiale che serviranno all’allestimento del modulo Destiny il cui lancio è previsto per il mese di marzo del 2000. Leonardo e gli altri due moduli logistici Raffaello e Donatello avranno quindi una doppia funzione: trasportare in orbita il materiale ed in seguito essere usati come moduli logistici della stazione spaziale.


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