Notiziario n. 12 - Primavera 1998 |
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Novità dal Sistema Solare |
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di Michele Bortolotti e Marco Murara (Associazione Astrofili Trentini) |
Il 7 gennaio 1998 dalla base di Cape Canaveral è stato lanciato un vettore a tre stadi Athena II il cui carico è costituito dalla sonda che segna il ritorno della NASA all'esplorazione lunare dopo le missioni Apollo: la sonda Lunar Prospector. La missione prevede che la sonda venga posta in un'orbita di parcheggio attorno alla Terra, durante la quale verranno effettuate le eventuali correzioni di velocità, per essere poi lanciata verso la Luna che raggiungerà in 105 ore.
Dopo la fase di decelerazione la sonda verrà posta in un'orbita polare ad un'altezza di 100 km dalla superficie lunare che le permetterà di costruire nel corso di un anno una mappa dettagliata dei campi magnetici e gravitazionali del nostro satellite. Nella seconda parte della missione la sonda verrà abbassata a 10 km dalla superficie dove proseguirà a maggior risoluzione la mappatura per circa 6 mesi trascorsi i quali esaurirà il carburante e terminerà la missione impattando sulla superficie lunare.
Questa missione, del costo totale di 63 milioni di dollari, fa parte del programma Discovery che prevede l'esplorazione del sistema solare tramite piccole sonde di costo limitato (di questo programma fa parte anche la sonda Mars Pathfinder). L'obiettivo del Lunar Prospector è quello di fornire dati sulla struttura, l'origine e le risorse della Luna grazie a 5 strumenti scientifici (spettrometri e magnetometri) che permetteranno di studiare i campi magnetici e gravitazionali, gli elementi costituenti la crosta e la composizione dei gas emessi dal nostro satellite. Questi obiettivi fanno si che la missione rappresenti un ponte tra passato e futuro: completerà la mappatura iniziata dalle missioni Apollo (circa il 25% della superficie) e grazie allo studio dei campi gravitazionali faciliterà le missioni future.
Lo scopo principale resta comunque la ricerca di elementi quali acqua, ferro, elio ed idrogeno che rendano possibile lo sfruttamento della superficie lunare per la costruzione di stazioni lunari che costituiranno le basi di lancio per le future esplorazioni spaziali. In particolare la ricerca di acqua ghiacciata che come suggeriscono i dati raccolti dalla sonda Clementine potrebbe trovarsi nei crateri in prossimità del polo Sud lunare rappresenta uno dei principali obiettivi del Lunar Prospector. La sonda, costruita in collaborazione con la Lockheed Martin, presenta una struttura molto semplice: essa è costituita da un cilindro in grafite del diametro di 1,4 m ed alto 1,3 m che grazie alla rotazione attorno al proprio asse permette la stabilizzazione della sonda. A questo corpo centrale sono collegate 3 sbarre di 2,4 m alla cui estremità sono posti gli strumenti scientifici che così non risentiranno nelle loro misurazioni di errori indotti dalla sonda stessa. L'energia viene fornita alla sonda da due pannelli solari e da due batterie che permetteranno alla sonda di proseguire la sua attività quando si troverà ad orbitare sopra la faccia scura della Luna. Proprio per evitare l'esaurimento di queste batterie i tecnici della NASA hanno scelto la data del lancio in un periodo che non prevede eclissi di luna. Il peso della sonda a pieno carico sarà di soli 295 kg. Con questa missione non comincerà certo una corsa alla Luna come quella iniziata nel 1959 con la sonda sovietica Luna, ma se i risultati saranno positivi nel prossimo futuro l'attenzione delle agenzie spaziali tornerà a focalizzarsi sulla Luna e sul suo possibile sfruttamento.
Nel frattempo potremo conoscere meglio il nostro satellite e seguire in tempo reale i dati provenienti dalla sonda grazie al sito internet della NASA dedicato a questa missione: http://lunar.arc.nasa.gov.
Un paio di mesi fa, alcuni scienziati affermarono che una grande quantità di diossido di carbonio nell'atmosfera dell'antico Marte avrebbe potuto mantenere temperature sufficienti a permettere la presenza dell'acqua allo stato liquido, e forse della vita, sulla sua superficie.
In un articolo comparso sulla rivista Science del 14 novembre scorso, François Forget, dell'Università Jussieu di Parigi, e Raymond Pierrehumbert, dell'Università di Chicago, dimostrarono infatti che un denso strato di diossido di carbonio nell'atmosfera potrebbe far raggiungere temperature tali da consentire l'acqua liquida ad una distanza dal Sole ben maggiore di quanto si credesse.
Secondo la loro ricerca, se un pianeta fosse coperto da nubi di diossido di carbonio ghiacciato, una quantità sufficiente di luce sarebbe in grado di arrivare alla superficie, di convertirsi poi in calore e di dare vita ad una sorta di effetto serra. Il calore così intrappolato riscalderebbe il pianeta al punto da rendere possibile la presenza costante di acqua liquida sulla sua superficie.
"Le condizioni ambientali dell'antico Marte - più o meno quattro miliardi di anni fa - erano più simili al fondo di un oceano che ad una foresta pluviale", ha spiegato Pierrehumbert. "Sarebbe stato buio, abbastanza caldo per avere acqua liquida, ma senza una grande fonte di energia che permettesse la fotosintesi".
Secondo teorie precedenti, l'acqua allo stato liquido non poteva esistere su pianeti situati a più di 204 milioni di chilometri dal Sole. Le ricerche di Forget e di Pierrehumbert hanno spostato il limite fino a 357 milioni di chilometri: ben oltre, dunque, l'orbita di Marte.
Un team internazionale di scienziati ha trovato le prove che dimostrano l'impatto di un grande asteroide, avvenuto circa due milioni di anni fa nella zona dell'attuale Antartide.
I geologi ritengono che il grande asteroide colpì il Mare di Bellingshausen, tra Antartide e Sud America, con una forza di 100.000 megatonnellate di TNT. Tale esplosione avrebbe generato cavalloni alti tra 20 e 40 metri, inondando la linea costiera a migliaia di chilometri di distanza.
L'asteroide, che avrebbe dovuto creare un cratere largo da 15 a 40 km se fosse caduto sulla terraferma, non ha lasciato nessuna traccia nell'oceano né sul fondale marino. Gli scienziati sono riusciti a datare l'impatto grazie ad esami sismici della regione compiuti da una nave oceanografica tedesca.
Questo impatto può spiegare perché si siano trovati fossili marini ad altitudini elevate sulle montagne antartiche. L'esplosione infatti avrebbe sollevato nell'atmosfera piante e animali in una nube di polvere e vapore, e successivamente li avrebbe depositati sui pendii delle montagne.
La datazione dell'impatto coincide anche con un periodo di forte raffreddamento registrato durante l'ultima glaciazione del Pliocene: il ricercatore tedesco Rainer Gersonde ha notato che ci può essere un logico collegamento fra i due eventi.
Si stima che l'asteroide doveva avere un diametro compreso tra 1 e 4 km; i ricercatori lo hanno chiamato Eltainin, come una nave oceanografica americana degli anni '60.
Alla fine di novembre il telescopio spaziale Hubble ha fornito nuove immagini di Urano, che mostrano chiaramente l'esistenza di nubi nell'atmosfera di questo pianeta.
Hubble ha usato la sua Wide Field Planetary Camera e la sua fotocamera a raggi infrarossi NICMOS per dare un'occhiata a Urano tra la fine di luglio e i primi di agosto. Le immagini mostrano uno strato di nubi nell'atmosfera di Urano, e in particolare le prime nubi che si siano viste nell'emisfero settentrionale del pianeta.
Poiché l'asse di rotazione di Urano è inclinato a più di 90 gradi, su questo pianeta le stagioni durano oltre venti anni, cioè circa un quarto degli 84 anni impiegati per orbitare intorno al Sole. Proprio in questo periodo l'emisfero settentrionale del pianeta sta uscendo da un ventennale inverno, durante il quale ha potuto vedere ben poco il Sole.
Urano si era guadagnata la fama di essere un mondo "tranquillo" dopo che venne avvicinato dal Voyager 2 nel 1986, quando la sonda inviò le immagini di un pianeta uniforme, con scarsissime tracce di nuvole nella sua atmosfera. Successive immagini mostrarono soltanto un po' di nubi nell'emisfero meridionale.
Le immagini infrarosse sono riuscite a scorgere anche otto dei dieci piccoli satelliti scoperti per la prima volta dal Voyager 2. I più piccoli degli otto, inclusa Bianca con i suoi 40 km di diametro, non erano più stati visti dal 1986.
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