SALV. A questa instanza, che ha assai dell'apparente, rispondo che è vero che l'aria è più tenue e più leggiera, e per la sua leggerezza meno aderente alla Terra, che l'acqua, tanto più grave e corpulenta; ma è poi falsa la conseguenza che voi deducete da queste condizioni, cioè che per tal sua leggerezza tenuità e minore aderenza alla Terra ella dovesse esentarsi più dell'acqua dal secondare i movimenti terrestri, onde a noi, che totalmente gli partecipiamo, tal sua inobbedienza si facesse sensibile e manifesta: anzi accade tutto l'opposito. Imperocché, se voi ben vi ricordate, la causa del flusso e reflusso dell'acqua, assegnata da noi, consiste nel non secondar l'acqua la disegualità del moto del suo vaso, ma ritener l'impeto concepito per avanti, senza diminuirlo o crescerlo con quella precisa misura che si accresce o diminuisce nel suo vaso: perché dunque nella conservazione e mantenimento dell'impeto concepito prima consiste l'inobbedienza ad un nuovo agumento o diminuzion di moto, quel mobile che sarà più atto a tal conservazione, sarà anco più accomodato a dimostrar l'effetto che a tal conservazione viene in conseguenza. Ora, quanto sia l'acqua disposta a mantenere una concepita agitazione, benché cessi la causa che l'impresse, l'esperienza de i mari altamente commossi da venti impetuosi ce lo dimostra, l'onde de i quali, benché tranquillata l'aria e cessato il vento, per lungo tempo restano in moto, come leggiadramente cantò il Poeta sacro: Qual l'alto Egeo etc.: ed il continuar in tal guisa nella commozione depende dalla gravità dell'acqua, imperocché, come altra volta s'è detto, i corpi leggieri son ben più facili ad esser mossi che i più gravi, ma son ben tanto meno atti a conservar il moto impressoli, cessante la causa movente onde l'aria, come in se stessa tenuissima e leggierissima, è agevolissimamente mobile da qualsivoglia minima forza, ma è anco inettissima a conservare il moto, cessante il motore. Però quanto all'aria che circonda il globo terrestre, direi che, per la sua aderenza, non meno che l'acqua venga portata in giro, e massime quella parte che è contenuta da i vasi, i quali vasi sono le pianure circondate da i monti; e questa tal porzione possiamo noi molto più ragionevolmente affermare che sia portata in volta, rapita dall'asprezza della Terra, che la superiore, rapita dal moto celeste, come asserite voi Peripatetici.
Quanto sin qui ho detto mi pare assai competente risposta all'instanza del signor Simplicio; tuttavia voglio con nuova obbiezione e con nuova risposta, fondata sopra una mirabile esperienza, soprabbondantemente dar sodisfazione ad esso, e confermare al signor Sagredo la mobilità del globo terrestre. Ho detto, l'aria, ed in particolare quella parte di lei che non si eleva sopra la sommità delle più alte montagne, esser dall'asprezza della terrestre superficie portata in giro; dal che pare che in conseguenza ne venga, che quando la superficie della Terra non fusse ineguale, ma tersa e pulita, non resterebbe cagione per tirarsi in compagnia l'aria, o almeno per condurla con tanta uniformità. Ora, la superficie di questo nostro globo non è tutta scabrosa ed aspera, ma vi sono grandissime piazze ben lisce, cioè le superficie di mari amplissimi, le quali, sendo anco lontanissime da i gioghi de i monti che le circondino, non par che possano aver facultà di condur seco l'aria sopreminente; e non la conducendo, si dovrebbe in quei luoghi sentir quello che in conseguenza ne viene.
SIMP. Questa medesima difficultà volevo io ancora promuovere, la qual mi pare esser di grand'efficacia.
SALV. Voi parlate benissimo: di maniera che, signor Simplicio, dal non si sentir nell'aria quello che in conseguenza accaderebbe quando questo nostro globo andasse in volta, voi argumentate la sua immobilità. Ma quando questo, che vi par che per necessaria conseguenza sentir si dovesse, in fatto e per esperienza si sentisse, l'accettereste voi per indizio ed argomento assai gagliardo per la mobilità del medesimo globo?
SIMP. In questo caso non bisogna parlar con me solo, perché quando ciò accadesse, e che a me ne fusse occulta la causa, forse ad altri potrebbe esser nota.
SALV. Talché con esso voi non si può mai guadagnare, ma sempre si sta su 'l perdere, e però sarebbe meglio non giocare; tuttavia, per non piantare il terzo, seguirò avanti. Dicevamo pur ora, e con qualche aggiunta replico, che l'aria, come corpo tenue e fluido e non saldamente congiunto alla Terra, pareva che non avesse necessità d'obbedire al suo moto, se non in quanto l'asprezza della superficie terrestre ne rapisce e seco porta una parte a sé contigua, che di non molto intervallo sopravanza le maggiori altezze delle montagne: la qual porzion d'aria tanto meno dovrà esser renitente alla conversion terrestre, quanto che ella è ripiena di vapori fumi ed esalazioni, materie tutte participanti delle qualità terrene, e per conseguenza atte nate per lor natura a i medesimi movimenti. Ma dove mancassero le cause del moto, cioè dove la superficie del globo avesse grandi spazii piani e meno vi fusse della mistione de i vapori terreni, quivi cesserebbe in parte la causa per la quale l'aria ambiente dovesse totalmente obbedire al rapimento della conversion terrestre; sì che in tali luoghi, mentre che la Terra si volge verso oriente, si devrebbe sentir continuamente un vento che ci ferisse spirando da levante verso ponente, e tale spiramento devrebbe farsi più sensibile dove la vertigine del globo fusse più veloce; il che sarebbe ne i luoghi più remoti da i poli e vicini al cerchio massimo della diurna conversione. Ma già de facto l'esperienza applaude molto a questo filosofico discorso: poiché ne gli ampi mari e nelle lor parti lontane da terra e sottoposte alla zona torrida, cioè comprese da i tropici, dove anco l'evaporazioni terrestri mancano, si sente una perpetua aura muovere da oriente, con tenor tanto costante, che le navi mercé di quella prosperamente se ne vanno all'Indie Occidentali, e dalle medesime, sciogliendo da i lidi messicani, solcano con 'l medesimo favor il Mar Pacifico verso l'Indie, orientali a noi, ma occidentali a loro, dove che, per l'opposito, le navigazioni di là verso oriente son difficili ed incerte, né si possono in maniera alcuna far per le medesime strade, ma bisogna costeggiar più verso terra per trovare altri venti, per così dire, accidentarii e tumultuarii, cagionati da altri principii, sì come noi abitanti tra terra ferma continuamente sentiamo per prova: delle quali generazioni di venti molte e diverse son le cagioni, che al presente non accade produrre; e questi venti accidentarii son quelli che indifferentemente spirano da tutte le parti della Terra, e che perturbano i mari remoti dall'equinoziale e circondati dalla superficie aspra della Terra, che tanto è quanto a dire sottoposti a quelle perturbazioni d'aria che confondono quella primaria espirazione, la quale, quando mancassero questi impedimenti accidentarii, si devrebbe perpetuamente sentire, e massime sopra mare. Or vedete, come gli effetti dell'acqua e dell'aria par che maravigliosamente s'accordino con l'osservazioni celesti a confermar la mobilità nel nostro globo terrestre.
SAGR. Voglio pur io ancora, per ultimo sigillo, dirvi un particolare, che mi par che vi sia incognito, e che pur viene in confermazion della medesima conclusione. Voi, signor Salviati, avete prodotto quell'accidente che trovano i naviganti dentro a i tropici, dico quella costanza perpetua del vento che gli vien da levante, del quale io ho relazione da chi più volte ha fatto quel viaggio; e di più (ch'è cosa notabile) intendo che li marinari non lo chiamano vento, ma con altro nome che ora non mi sovviene, preso forse dal suo tenore tanto fermo e costante, che, quando l'hanno incontrato, legano le sarte e l'altre corde delle vele, e senza mai più aver bisogno di toccarle, ancora dormendo, con sicurezza posson far lor cammino. Ora, questa aura perpetua è stata conosciuta per tale dal suo continuo spirare senza interrompimenti; ché quando da altri venti fusse interrotta, non sarebbe stata conosciuta per effetto singolare e differente da gli altri: dal che voglio inferire che potrebbe esser che anche il mar nostro Mediterraneo fusse partecipe d'un tale accidente, ma non osservato, come quello che frequentemente vien alterato da altri venti sopravegnenti. E questo dico io non senza gran fondamento, anzi con molto probabili conietture, le quali mi vengono da quello che ho avuto occasione d'intender mediante il viaggio che feci in Soria, andando consolo della Nazione in Aleppo: e quest'è, che tenendosi particolar registro e memoria de i giorni delle partenze e de gli arrivi delle navi ne i porti di Alessandria, d'Alessandretta e qui di Venezia, nel riscontrarne molti e molti, il che feci per mia curiosità, trovai che ragguagliatamente i ritorni in qua, cioè le navigazioni da levante verso ponente, per il Mediterraneo si fanno in manco tempo che le contrarie, a ragion di 25 per cento; talché si vede che sottosopra i venti da levante son più potenti che quei da ponente.
SALV. Ho caro d'aver saputo questo particolare, che arreca non piccola confermazione per la mobilità della Terra. E se bene si potrebbe dire che l'acqua tutta del Mediterraneo cali perpetuamente verso lo Stretto, come quella che debbe andare a scaricar nell'Oceano l'acque de i tanti fiumi che dentro vi sgorgano, non credo che tal corrente possa esser tanta che per sé sola bastasse a far sì notabil differenza: il che è anco manifesto dal vedersi nel Faro ricorrer l'acqua non meno verso levante che correr verso ponente.
SAGR. Io, che non ho, come il signor Simplicio, stimolo di sodisfare ad altri che a me stesso, resto da quanto si è detto appagato circa questa prima parte; però, signor Salviati, quando vi sia comodo di seguir più, sono apparecchiato ad ascoltarvi.
SALV. Farò quanto mi comandate; ma vorrei pur sentire anco il parer del signor Simplicio, dal giudizio del quale posso argumentar quanto io mi potessi prometter, circa questi miei discorsi, dalle scuole peripatetiche, se mai gli pervenissero all'orecchie.
SIMP. Non voglio che 'l mio parer vi vaglia o serva per coniettura de' giudizi d'altri, perché, come più volte ho detto, io son de' minimi in questa sorte di studii, e tal cosa sovverrà a quelli che si sono internati ne gli ultimi penetrali della filosofia, che non può sovvenire a me, che l'ho (come si dice) salutata a pena dalla soglia: tuttavia, per parer vivo, dirò che de gli effetti raccontati da voi, ed in particolare in quest'ultimo, mi pare che senza la mobilità della Terra se ne possa rendere assai suffiziente ragione con la mobilità del cielo solamente, senza introdur novità veruna, fuor che il converso di quella che voi stesso producete in campo. È stato ricevuto dalle scuole peripatetiche, l'elemento del fuoco ed anco gran parte dell'aria esser portati in giro, secondo la conversion diurna, da oriente verso occidente dal contatto del concavo dell'orbe lunare, come da vaso lor contenente. Ora, senza discostarmi dalle vostre vestigie, voglio che determiniamo, la quantità dell'aria participante di tal moto abbassarsi sin presso alle sommità delle più alte montagne, e che anco sino in Terra arriverebbe, quando gli ostacoli delle medesime montagne non l'impedissero: che corrisponde a quello che dite voi, cioè che sì come voi affermate, l'aria circondata da i gioghi de i monti esser portata in giro dall'asprezza della Terra mobile, noi per il converso diciamo, l'elemento dell'aria tutto esser portato in volta dal moto del cielo, trattone quella parte che soggiace a i gioghi, che viene impedita dall'asprezza della Terra immobile; e dove voi dicevi, che quando tale asprezza si togliesse, si torrebbe anco all'aria l'esser rapita, noi possiam dire che rimossa la medesima asprezza, l'aria tutta continuerebbe suo movimento: onde, perché le superficie de gli ampli mari sono lisce e terse, sopra di quelle si continua il moto dell'aura, che perpetuamente spira da levante; e questo si fa più sentire nelle parti sottoposte all'equinoziale e dentro a i tropici, dove il moto del cielo è più veloce. E sì come tal movimento celeste è potente a portar seco tutta l'aria libera, così possiamo molto ragionevolmente dire che contribuisca il medesimo moto all'acqua mobile, per esser fluida e non attaccata all'immobilità della Terra; e tanto più possiamo noi ciò affermare con confidenza, quanto, per vostra confessione, tal movimento deve esser pochissimo, rispetto alla causa sua efficiente, la quale, circondando in un giorno naturale tutto 'l globo terrestre, passa molte centinaia di miglia per ora, e massime verso l'equinoziale, dove che nelle correnti del mare aperto è di pochissime miglia per ora. E così le navigazioni verso occidente verranno ad esser comode e spedite non solamente mercé dell'aura perpetua orientale, ma del corso ancora dell'acque; dal qual corso potrà anco per avventura procedere il flusso e reflusso, mediante le diverse posture de i lidi terrestri, ne i quali andando a percuoter l'acqua, può anco ritornare in dietro con movimento contrario, sì come l'esperienza ci mostra del corso de i fiumi, che secondo che l'acqua, nella disegualità delle rive, incontra qualche parte che sporga in fuori o che di sotto faccia qualche seno, qui l'acqua si raggira, e si vede notabilmente ritornare in dietro. Per questo mi pare che de i medesimi effetti da i quali voi argomentate la mobilità della Terra, e la medesima adducete per cagione di quelli, si possa allegar causa concludente abbastanza, ritenendo la Terra stabile e restituendo la mobilità al cielo.
SALV. Non si può negare che il vostro discorso non sia ingegnoso ed abbia assai del probabile; dico però, probabile in apparenza, ma non già in esistenza e realtà. Egli ha due parti: nella prima rende ragione del moto continuo dell'aura orientale, ed anco di un simil moto nell'acqua; nella seconda vuol anco dal medesimo fonte attigner la causa del flusso e reflusso. La prima parte ha (come ho detto) qualche sembianza di probabilità, ma però sommamente minore di quella che noi prendiamo dal moto terrestre; la seconda è del tutto non solo improbabile, ma assolutamente impossibile e falsa. E venendo alla prima, dove si dice che 'l concavo lunare rapisce l'elemento del fuoco e tutta l'aria sino alla sommità delle più alte montagne, dico, prima, che v'è dubbio se ci sia l'elemento del fuoco, ma posto che ci sia si dubita grandemente dell'orbe della Luna, come anco di tutti gli altri, cioè se ci siano tali corpi solidi e vastissimi o pure se oltre all'aria si estenda una continuata espansione di una sustanza assai più tenue e pura della nostra aria per la quale vadiano vagando i pianeti, come or mai comincia ad esser tenuto anco da buona parte de i medesimi filosofi: ma sia in questo o in quel modo, non ci è ragione per la quale il fuoco da un semplice contatto d'una superficie, che per voi si stima esser tersissima e liscia, possa esser, secondo tutta la sua profondità, portato in volta di un moto alieno dalla sua naturale inclinazione, come diffusamente è stato provato e con sensate esperienze dimostrato dal Saggiatore; oltre all'altra improbabilità del trasfondersi tal moto dal fuoco sottilissimo per l'aria assai più densa, e da questa anco poi nell'acqua. Ma che un corpo di superficie aspra e montuosa, nel volgersi in se stesso, conduca seco l'aria a sé contigua e nella quale vanno percotendo le sue prominenze, è non pur probabile, ma necessario, e si può tuttavia vederne l'esperienza, benché, senza vederla, non credo che sia intelletto che ci ponga dubbio. Quanto all'altra parte, posto che dal moto del cielo fosse condotta l'aria ed anco l'acqua non però tal moto avrebbe che far nulla co 'l flusso e reflusso. Imperocché, essendo che da una causa una ed uniforme non può seguire altro che un effetto solo ed uniforme, quello che nell'acqua si devrebbe scorgere, sarebbe un corso continuato ed uniforme da levante verso ponente, ed in quel mare solamente che, ritornando in se stesso, circonda tutto 'l globo; ma ne i mari terminati, come è il Mediterraneo, racchiuso da oriente, non vi potrebbe esser tal moto, perché se l'acqua sua potesse esser cacciata dal corso del cielo verso occidente, son molti secoli che sarebbe restato asciutto: oltre che la nostra acqua non corre solamente verso occidente, ma ritorna in dietro verso levante, e con periodi ordinati. E se ben voi dite, con l'esempio de i fiumi, che benché il corso del mare fusse originariamente il solo da oriente in occidente, tuttavia la diversa postura de i lidi può far ringurgitare parte dell'acqua in dietro, ciò vi concedo; ma bisogna, signor Simplicio mio, che voi avvertiate, che dove l'acqua per tal cagione ritorna in dietro, vi ritorna perpetuamente, e dove ella corre a dirittura, vi corre sempre nell'istesso modo, ché così vi mostra l'esempio de i fiumi, ma nel caso del flusso e reflusso, bisogna trovare e produr ragione di far che nell'istesso luogo ora corra per un verso ed ora per l'opposito, effetti che, essendo contrarii e difformi, voi non potrete mai dedurre da una causa uniforme e costante. E questo con che s'atterra questa posizione del moto contribuito al mare dal movimento diurno del cielo, abbatte ancora quella di chi volesse ammetter il moto solo diurno della Terra, e credesse con quello solo poter render ragione del flusso e reflusso; del qual effetto, perché è difforme, bisogna necessariissimamente che difforme ed alterabile sia la cagione.
SIMP. Io non ho che replicare, né del mio proprio, per la debolezza del mio ingegno, né di quel d'altri, per la novità dell'opinione; ma crederei bene, che quando la si spargesse per le scuole, non mancherebbero filosofi che la saprebbero impugnare.
SAGR. Aspetteremo dunque una tale occasione: e noi tra tanto, se così vi piace, signor Salviati, procederemo avanti.
SALV. Tutto quello che sin qui si è detto, appartiene al periodo diurno del flusso e reflusso, del quale prima si è dimostrata in genere la cagion primaria ed universale, senza la quale nulla di tale effetto seguirebbe; di poi, passando a gli accidenti particolari, varii ed in certo modo sregolati, che in esso si osservano, si son trattate le cause secondarie e concomitanti, onde essi dependono. Seguono ora gli altri due periodi, mestruo ed annuo, li quali non arrecano accidenti nuovi e diversi, oltre a i già considerati nel periodo diurno, ma operano ne i medesimi con rendergli maggiori e minori in diverse parti del mese lunare ed in diversi tempi dell'anno solare, quasi che e la Luna e il Sole entrino a parte nell'opera e nella produzion di tali effetti: cosa che totalmente repugna al mio intelletto, il quale, vedendo come questo de i mari è un movimento locale e sensato, fatto in una mole immensa d'acqua, non può arrecarsi a sottoscrivere a lumi, a caldi temperati, a predominii per qualità occulte ed a simili vane immaginazioni, le quali tantum abest che siano o possano esser cause del flusso, che per l'opposito il flusso è causa di quelle, cioè di farle venire ne i cervelli atti più alla loquacità ed ostentazione, che alla specolazione ed investigazione dell'opere più segrete di natura, li quali prima che ridursi a profferir quella savia ingenua e modesta parola Non lo so, scorrono a lasciarsi uscir di bocca, ed anco della penna, qual si voglia grande esorbitanza. Ed il veder solamente che la medesima Luna e 'l medesimo Sole non operano, co 'l lor lume, co 'l moto, co 'l caldo grande o col temperato, nei minori ricetti d'acqua, anzi, che a volerla per caldo far sollevare bisogna ridurla poco meno che al bollire, ed in somma non poter noi artifiziosamente immitar in verun modo i movimenti del flusso, salvo che co 'l moto del vaso, non dovrebbe egli assicurare ogn'uno, tutte l'altre cose prodotte per cause di tale effetto esser vane fantasie e del tutto aliene dal vero? Dico per tanto, che se è vero che di un effetto una sola sia la cagion primaria, e che tra la causa e l'effetto sia una ferma e costante connessione, necessaria cosa è che qualunque volta si vegga alterazione ferma e costante nell'effetto, ferma e costante alterazione sia nella causa: e perché le alterazioni che accaggiono a i flussi e reflussi in diverse parti dell'anno e del mese hanno lor periodi fermi e costanti, è forza dire che regolata alterazione ne i medesimi tempi accaggia nella cagion primaria de i flussi e reflussi. L'alterazione poi che si trova ne i detti tempi ne i flussi e reflussi, non consiste in altro che nella lor grandezza, cioè nell'alzarsi ed abbassarsi più o meno le acque, e nel correr con impeto maggiore o minore; adunque è necessario che quello che è cagion primaria del flusso e reflusso, ne i detti tempi determinati accresca o diminuisca la sua forza. Ma già si è concluso, la disegualità e difformità del moto de i vasi contenenti l'acqua esser causa primaria de i flussi e reflussi; adunque bisogna che tal difformità di tempo in tempo corrispondentemente si difformi più, cioè si faccia maggiore e minore. Ora convien che ci ricordiamo come la difformità, cioè la diversa velocità di moto de i vasi, cioè delle parti della superficie terrestre, depende dal muoversi loro del movimento composto resultante dall'accoppiamento de i due moti annuo e diurno proprii dell'intero globo terrestre; de i quali la vertigine diurna, co 'l suo ora aggiugnere ed or detrarre al movimento annuo, è quella che produce la difformità nel moto composto; talché ne gli additamenti e suttrazioni che fa la vertigine diurna al moto annuo, consiste l'originaria cagione del moto difforme dei vasi, ed in conseguenza del flusso e reflusso: in guisa tale, che quando questi additamenti e suttrazioni si facesser sempre con la medesima proporzione verso 'l moto annuo, continuerebbe ben la causa del flusso e reflusso, ma però di farsi perpetuamente nell'istesso modo. Ma noi abbiam bisogno di trovar la cagione del farsi i medesimi flussi e reflussi, in diversi tempi, maggiori e minori; adunque bisogna (se vogliamo ritener l'identità della causa) ritrovar alterazione in questi additamenti e suttrazioni, che gli faccia più e meno potenti nel produr quelli effetti che da loro dependono. Ma tal potenza ed impotenza non veggo che si possa indurre se non co 'l fare i medesimi additamenti e suttrazioni or maggiori ed or minori, sì che l'accelerazione e 'l ritardamento del moto composto si faccia or con maggiore ed or con minor proporzione.
SAGR. Io mi sento molto placidamente guidar per mano; e bench'io non trovi intoppi per la strada, tuttavia, a guisa di cieco, non veggo dove la vostra scorta mi conduca, né so immaginarmi dove tal viaggio abbia a terminare.
SALV. Ancorché gran differenza sia tra 'l mio lento filosofare e il vostro velocissimo discorso, tuttavia in questo particolare, che ora abbiamo alle mani, non voglio maravigliarmi che la perspicacità del vostro ingegno resti ancora offuscata dalla caligine alta ed oscura che ci nasconde il termine al quale noi camminiamo: e cessa la mia maraviglia nel rimembrarmi quant'ore, quanti giorni, e più quante notti, abbia io trapassate in questa specolazione, e quante volte, disperato di poterne venire a capo, abbia, per consolazion di me medesimo, fatto forza di persuadermi, a guisa dell'infelice Orlando, che potesse non esser vero quello che tuttavia la testimonianza di tanti uomini degni di fede mi rappresentava innanzi a gli occhi. Non vi maravigliate dunque se questa volta, contro al vostro consueto, non prevedete il segno; e se pur vi maravigliate, credo che la riuscita, per quanto posso giudicare assai inopinata, vi farà cessar la maraviglia.
SAGR. Ringrazio dunque Iddio dell'avere Egli ovviato, che tal disperazione non traesse voi all'esito che si favoleggia del misero Orlando, né a quello che forse non men favolosamente s'intende d'Aristotile, acciocché né io né altri restasse privo del ritrovamento di cosa tanto recondita quanto desiderata. Pregovi dunque che, quanto prima si possa, satolliate la mia famelica avidità.
SALV. Eccomi a sodisfarvi. Eramo ridotti a ritrovare in qual maniera gli additamenti e suttrazioni della vertigine terrestre sopra 'l moto annuo potessero farsi or con maggiore ed or con minore proporzione, la qual diversità, e non altra cosa, poteva assegnarsi per cagion delle alterazioni mestrue ed annue che si veggono nella grandezza de i flussi e reflussi. Considero adesso come questa proporzione de gli additamenti e suttrazioni della vertigine diurna e del moto annuo può farsi maggiore e minore in tre maniere. L'una è co 'l crescere e diminuire la velocità del moto annuo, ritenendo gli additamenti e suttrazioni, fatte dalla vertigine diurna, nella medesima grandezza; perché, per essere il moto annuo circa tre volte maggiore, cioè più veloce, del moto diurno (considerato anco nel cerchio massimo), se noi di nuovo l'accresceremo minore alterazione gli arrecheranno le giunte o suttrazioni del moto diurno; ma, per l'opposito, facendolo più tardo, verrà con proporzion maggiore alterato dal medesimo moto diurno; in quel modo che l'accrescere o detrarre quattro gradi di velocità a quello che si muove con venti gradi, altera meno il suo corso che non farebbero i medesimi quattro gradi aggiunti o detratti a uno che si movesse solamente con 10 gradi. La seconda maniera sarebbe con far maggiori o minori gli additamenti e le suttrazioni. ritenendo il moto annuo nell'istessa velocità: il che è tanto facile da intendersi, quanto è manifesto che una velocità, verbigrazia, di 20 gradi più si altera con l'aggiunta o suttrazione di 10 gradi, che con la giunta o suttrazione di 4. La terza maniera sarebbe quando queste due si congiugnessero insieme, diminuendo il moto annuo e crescendo le giunte e suttrazioni diurne. Sin qui, come voi vedete, non è stato difficile il pervenire, ma ben è egli stato a me laborioso il ritrovare in qual maniera ciò possa effettuarsi in natura. Pur finalmente trovo che ella mirabilmente se ne serve, e con modi quasi inopinabili: dico mirabili ed inopinabili a noi, ma non a lei, la quale anco le cose all'intelletto nostro d'infinito stupore opera ella con somma facilità e semplicità; e quello che a noi è difficilissimo a intendersi, a quella è agevolissimo a farsi. Passando ora più avanti, ed avendo dimostrato come la proporzione tra gli additamenti e suttrazioni della vertigine e 'l moto annuo si può far maggiore e minore in due maniere (e dico in due, perché la terza vien composta delle due prime), aggiungo che la natura di amendue si serve, e di più soggiungo, che quando ella si servisse di una sola, bisognerebbe tor via una delle due alterazioni periodiche: cesserebbe quella del periodo mestruo, se 'l movimento annuo non si alterasse; e quando le giunte e suttrazioni della vertigine diurna si mantenesser continuamente eguali mancherebbero le alterazioni del periodo annuo.
SAGR. Adunque l'alterazione mestrua de' flussi e reflussi depende dall'alterazion del moto annuo della Terra? e l'alterazione annua de' medesimi flussi e reflussi deriva da gli additamenti e suttrazioni della vertigine diurna? Ora mi ritrovo io più confuso che mai, e più fuori di speranza d'avere a poter restar capace come stia questo intralciamento, più intrigato, al mio parere, del nodo Gordiano; ed invidio il signor Simplicio, dal cui silenzio argomento che ei resti capace del tutto, e libero da quella confusione che grandemente a me ingombra la fantasia.
SIMP. Credo veramente, signor Sagredo, che voi vi ritroviate confuso, e credo di sapere anco la causa della vostra confusione; la quale, per mio avviso, nasce, che delle cose portate da poco in qua dal signor Salviati, parte ne intendete e parte no. È anche vero ch'io mi trovo fuori di confusione, ma non per quella causa che voi credete, cioè perché io resti capace del tutto, anzi ciò mi avviene dal contrario, cioè dal non capir nulla; e la confusione è nella pluralità delle cose, e non nel niente.
SAGR. Vedete, signor Salviati, come alcune sbrigliatelle che si son date ne i giorni passati al signor Simplicio, l'hanno reso mansueto, e di saltatore cangiato in una chinea. Ma, di grazia, senza più indugio cavateci amendue di travaglio.
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