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Le comete nella letteratura italiana
Numerosi sono gli autori italiani che hanno citato a vario titolo le comete. La rassegna che segue vuole essere una rapida panoramica sulle possibili accezioni in cui si ritrova il termine in questione: per motivi di chiarezza espositiva, i brani non sono stati presentati secondo un criterio cronologico, ma in base alle affinità tematiche.
Un primo gruppo di testi parla delle comete con un intento cronachistico, associando la comparsa di questi corpi celesti alla manifestazione di eventi infausti. È il caso di Giovanni Villani (1276 ca.-1348), che nella sua Nuova cronica (libro VII, cap. 91) descrive così le circostanze della morte di papa Urbano IV:
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E come s'apruovi che queste stelle comate significano mutazioni di regni, per gli antichi autori in loro versi, si mostra per Istazio poeta, nel primo suo libro di Tebe, ove disse: "Bella quibus populis que mutat regni comete". E Lucano nel primo suo libro disse: "Sideris et terris mutante regna comete" . Ma questa intra l'altre significazioni fu evidente e aperta, che Come la detta stella apparve, papa Urbano amalò d'infermità, e la notte che la detta cometa venne meno si passò il detto papa di questa vita nella città di Perugia, e là fu soppellito.
Molto interessante risulta poi questo passo della Cronica (cap. 8) di un Anonimo romano, il quale, dopo aver ricordato l'apparizione di una cometa nell'anno 1337, accenna alla concezione aristotelica, testimoniando che nell'epoca medioevale essa dominava incontrastata:
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Currevano anni Domini MCCCXXXVII, dello mese de agosto, apparze nelle parte de Lommardia una cometa moito splennente e bella e durao dìe tre. In airo puoi desparze. Questa cometa pareva che fussi una stella lucentissima più delle aitre, e estenneva dereto a sé una coma destinta, pezzuta a muodo de una spada, e penneva la ponta sopra de Verona. Questa coma stava da uno delli lati. Non iva né su né io', ma ritta se stenneva como fossi una fiamma de fuoco. Moito commosse la iente ad ammirazione, que voleva dicere questa novitate.
Dice Aristotile, nella Metaora , ca questa non è verace stella; anche ène una fatta nella sovrana parte de l'airo, e faose de materia umida e calla, la quale salle su e accennese e dura tanto quanto la materia donne se fao. Anche dice ca questa mai non appare, che non significhi novitati granni, spezialmente sopra li principi della terra, e commozioni de reami e morte e caduta de potienti.
Nel XVI secolo, Gian Battista Ramusio (1485-1557), uomo politico e geografo veneto, nel sua relazione su Discoprimento e conquista del Perù (cap. 10), attesta che anche le popolazioni precolombiane erano convinte del malaugurio portato dalle comete, fornendo un ulteriore indizio per la ricostruzione del complesso mondo inca, le cui conoscenze astronomiche rimangono ancor oggi avvolte nel mistero. A ben vedere, però, una certa ambiguità rimane: le parole di Atabalipa sono veramente sue o non è piuttosto l'estro narrativo-aneddotico di Ramusio che parla?
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Venti giorni avanti che morisse Atabalipa , non si sapendo cosa alcuna dell'esercito che aspettavano, ed essendo Atabalipa una sera molto allegro e parlando con alcuni Spagnuoli, apparse in aere verso la città del Cusco a modo d'una cometa di fuoco, la quale stette gran parte della notte, e come Atabalipa l'ebbe veduta disse: "Presto morirà un gran signore di quel paese". E questo fu lui.
Occorre infine ricordare la menzione delle comete da parte di Alessandro Manzoni (1785-1873) nel capitolo XXXII de I promessi sposi; è evidente il tono di incredula ironia che serpeggia tra le righe e che denota una presa di posizione razionale nei confronti delle superstizioni:
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Vedevano, la più parte di loro [i "dotti"], l'annunzio e la ragione insieme de' guai in una cometa apparsa l'anno 1628, e in una congiunzione di Saturno con Giove, "inclinando", scrive il Tadino, "la congiontione sodetta sopra questo anno 1630, tanto chiara, che ciascun la poteua intendere. Mortales parat morbos, miranda videntur". Questa predizione, cavata, dicevano, da un libro intitolato Specchio degli almanacchi perfetti, stampato in Torino, nel 1623, correva per le bocche di tutti. Un'altra cometa, apparsa nel giugno dell'anno stesso della peste, si prese per un nuovo avviso; anzi per una prova manifesta dell'unzioni. Pescavan ne' libri, e pur troppo ne trovavano in quantità, esempi di peste, come dicevano, manufatta: citavano Livio, Tacito, Dione, che dico? Omero e Ovidio, i molti altri antichi che hanno raccontati o accennati fatti somiglianti: di moderni ne avevano ancor più in abbondanza.
Un secondo gruppo di testi, che risultano essere tutti poetici, cita le comete in qualità di termine di paragone con accezione negativa. È il caso di Torquato Tasso (1544-1595), che cita in questo modo la cometa (Gerusalemme liberata, VII, 52-53); pare superfluo ribadire il senso di orrida visione che pervade questi versi:
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Qual con le chiome sanguinose orrende
splender cometa suol per l'aria adusta,
che i regni muta e i feri morbi adduce,
a i purpurei tiranni infausta luce:
tal ne l'arme ei fiammeggia, e bieche e torte
volge le luci ebre di sangue e d'ira.
Allo stesso modo, anche questo paragone di Giambattista Marino (1569-1625) intende negativamente la cometa, definedola "crudele" (Adone, XIV, 134):
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Spezzato, il ferro al suol cade, e reciso,
e sol l'impugnatura in man gli resta.
Ride il gigante, ma somiglia il riso
di cometa crudel luce funesta:
un Mongibello ha di faville in viso;
alza la sua, poi nel ferir l'arresta
e dice: "Or or di noi vedrem la prova
chi con polso migliore il braccio mova.
Così pure questa menzione di Vincenzo Monti (1754-1828), che accoglie l'immagine delle comete tradizionale e inveterata (Bassvilliana, I, 61-69):
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E nel levarsi a volo ecco di Piero
sull'altissimo tempio alla lor vista
un cherubino minaccioso e fiero
un di quei sette che in argentea lista
mirò fra i sette candelabri ardenti
il rapito di Patmo evangelista .
Rote di fiamme gli occhi rilucenti
e cometa che morbi e sangue adduce
parean le chiome abbandonate ai venti.
Un caso a parte è rappresentato dalla lirica di Giovanni Pascoli (1855-1912) Alla cometa di Halley, interamente dedicata a questo corpo celeste, ricordato in occasione del suo penultimo passaggio: la poesia reca infatti la data del gennaio 1910 (vv. 14-17; 23-35):
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O tu, ricordi questa terra nera?
Volgono appena otto anni tuoi, da quando
tu lo vedesti , in una cupa sera,
un della Terra. [...]
E dagli abissi uscita allor, Cometa,
tu fiammeggiavi lunga all'orizzonte.
Udiva il suon lontano di compieta,
che par che pianga. E lo toccasti in fronte.
Le stelle impallidirono. Non v'era
altro che te nel cupo cielo esangue
che tu sferzavi con la tua criniera.
Tu tra i pianeti e i Soli, eri com'angue
che uccide e passa. A questa nera Terra
dicevi il tristo ribollir del sangue,
l'ombre vaganti, i gridi da sotterra,
tutti gli affanni, tutte le sventure,
tutti i delitti: incendi, stragi, guerra.
Non si può non citare, a conclusione di questa rassegna, l'opinione di Giacomo Leopardi (1798-1837) sulle comete, che si contraddistingue per l'illuministica visione della realtà e che critica sarcasticamente la concezione convenzionale (Zibaldone di pensieri, 15 settembre 1823):
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Ma le comete che cosa hanno di spaventevole per sé, più ch'altro corpo celeste, o che la via lattea ec.? E volendole pigliare per segni e presagi, perché non di bene? ma non si troverà nazione dov'elle fossero o sieno stimate annunziare altro che male.
Marco Murara (e-mail)
aprile 1995
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