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Nella tradizione mitologica greco-romana la Luna, grazie alla mutevolezza del suo aspetto che la rende unica fra tutti gli astri, è stata associata non ad una sola, bensì a tre distinte divinità, legate ciascuna a tre sue diverse "manifestazioni": la Luna piena, la Luna nuova e la Luna crescente. Metafora rispettivamente di vita, di morte e di rinascita, da tempo immemorabile queste tre figure lunari hanno rappresentato il ciclo della vita: è in tal modo che il simbolismo lunare ha potuto coinvolgere fenomeni apparentemente così eterogenei come la nascita, la morte, la fecondità, la femminilità, il divenire, l'immortalità.
Il primo volto, la Luna nella sua scintillante pienezza, è simbolo di vita: per la mitologia greco-ellenistica esso assume il nome di Selene (il quale deriva da sélas, che significa "splendore"). Esiodo nella Teogonia racconta che Selene nacque da Theia e Iperione, divinità legate alla luminosità del cielo, che con la loro unione generarono anche Elio, dio del Sole, ed Eos, dea dell'aurora. Di Selene così canta l'inno omerico:
Da lei, dal suo immortale capo, un diffuso chiarore
si spande sulla Terra e una sovrumana bellezza appare
sotto la sua luce: l'aria buia si fa luminosa
di fronte alla sua corona dorata, e i raggi splendono
quando dall'Oceano, lavate le belle membra,
indossata la veste lucente, la divina Selene,
aggiogati i bianchi puledri dal collo robusto,
lancia in avanti il cocchio splendente
e appare, dopo il tramonto, al culmine del mese.
Selene venne anche chiamata con il nome di derivazione frigia Méne, la cui radice etimologica mé significava "misura, computo". Non è un caso, dunque, che il termine latino mensis (ovvero "mese") derivi dalla medesima radice: occorre infatti ricordare che, almeno fino alla riforma imposta da Giulio Cesare verso la metà del I secolo avanti Cristo, il calendario romano era basato sul ciclo lunare e perciò in origine il "mese" altro non era che l'unità di misura che rappresentava l'intervallo di tempo tra una Luna nuova e l'altra. Si comprende bene, quindi, perché nell'ultimo verso dell'inno omerico qui sopra citato si dica che Selene, cioè la Luna piena, "appare, dopo il tramonto, al culmine del mese": il culmine del mese è proprio il plenilunio.
Il secondo aspetto, quello della Luna nuova, della Luna in congiunzione con il Sole, è incarnato da Ecate, l'unica divinità a condividere con Zeus, re degli dei, il privilegio di poter estendere il proprio potere sia sul cielo, sia sulla terra, sia sul mare. Ecate era considerata la Luna nera, simbolo di morte, ma anche di punto in cui tutto rifluisce per poter prepararsi a rinascere. Essa era inoltre una divinità legata anche al mondo del soprannaturale, degli spiriti e degli incantesimi: per questa ragione le erano sacri i crocevia, luoghi che la tradizione popolare considerava teatro di sortilegi per antonomasia, dove si innalzavano statue con le sue sembianze (poiché si riteneva che Ecate conoscesse il passato, il presente e il futuro, era raffigurata con tre volti o talvolta con tre corpi). È forse per questa sua connessione con il mondo della magia che Ecate finì per essere associata al mondo degli inferi, assumendo i connotati negativi di divinità maligna che in origine non aveva.
La terza manifestazione, infine, la falce di Luna che riappare dopo il novilunio, è simbolo di rinascita, di resurrezione, e assume il nome di Artemide, sorella di Apollo. Secondo la mitologia, Artemide nacque per prima e quindi aiutò la madre Latona a partorire il fratello: per questo motivo era invocata come protettrice dalle donne incinte e dalle partorienti, ricevendo l'appellativo di kourotróphos, "nutrice", giacché custodiva i bambini e i cuccioli degli animali. Nonostante ciò, tuttavia, Artemide era descritta come una fanciulla selvaggia che amava soltanto la caccia e conservava gelosamente la propria verginità: era perciò la patrona di tutte le giovani dalla nascita fino al matrimonio, momento in cui subentrava la protezione di Selene, la Luna piena. Presso i Romani, Artemide fu assimilata a Diana.
In un suo libro pubblicato nel 1996, intitolato Le tre facce della Luna, Marina Cepeda Fuentes ha proposto di leggere la celebre favola delle tre galline, di cui si conoscono numerose varianti assai diffuse in numerose tradizioni popolari, come una allegoria del ciclo lunare. La favola racconta che tre galline, una nera, una rossa e una bianca, decisero di costruirsi una casa in cui poter trascorrere la brutta stagione: la gallina nera si fece un riparo con della paglia, quella rossa con della legna, quella bianca con delle pietre. Un giorno arrivò il lupo: con un soffio atterrò la casa di paglia e si mangiò la gallina nera; con una spallata distrusse poi la casa di legno ma la gallina rossa scappò e si rifugiò dalla sorella bianca. Quest'ultima, al sicuro nella sua solida casa di pietra, con uno stratagemma riuscì ad uccidere il lupo: quindi gli aprì la pancia e fece uscire la sorella nera, spaventata ma ancora viva. Leggendo questa favola come una metafora delle fasi lunari, la gallina nera inghiottita dal lupo è la Luna nuova, la Luna che "muore" in congiunzione con il Sole-lupo; la gallina rossa che riesce a scappare è la Luna piena; e infine la gallina bianca che sconfigge il lupo è la Luna crescente, uscita vincitrice dal confronto con il Sole.
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